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Animali: pochi controlli e informazione, in Italia servizi disomogenei

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Roma, 10 apr. (AdnKronos Salute) – Sono Roma, Torino e Napoli le città più “amiche dei gatti” in Italia; a Verbania i cani randagi hanno più possibilità di essere trovare famiglia; le città siciliane sono il paradiso dei cosiddetti “cani di quartiere”, o “liberi controllati”. E la biodiversità animale? Praticamente sconosciuta. Anche in materia di amici a quattro zampe l’Italia evidenzia differenze geografiche e disomogeneità di servizi, politiche e informazione ai cittadini. Lo rileva lo studio ‘Animali in città’ di Legambiente.
Per il quarto anno consecutivo, l’associazione ha sottoposto un questionario alle amministrazioni dei Comuni capoluogo di provincia e alle aziende sanitarie locali, per conoscere politiche e gestione degli animali: dalle risposte ottenute (85 Comuni capoluogo di provincia, il 77% del campione, e 74 Asl, ossia il 50% delle 146 contattate), emerge che il 90% dei Comuni capoluogo ha attivato l’assessorato e/o l’ufficio dedicato al settore; l’82% delle Asl di avere almeno il canile sanitario e/o l’Ufficio di igiene urbana veterinaria (in due casi anche l’ospedale veterinario). Ma sono pochi gli enti in grado di assicurare servizi di qualità e corrette informazioni ai cittadini: solo il 35% delle città del campione raggiunge un punteggio sufficiente (30 punti su 100), il 3,5% (Modena, Ferrara e Verona) raggiunge una performance buona e il 2,5% ottiene una ottima (Terni e Prato), mentre il restante 59% raccoglie punteggi decisamente insufficienti.
Tra le aziende sanitarie, raggiungono una performance sufficiente 22 su 74 (30% del campione), mentre hanno una performance buona, ossia almeno 40 punti su 100, 13 aziende sanitarie (Asur 3 Macerata, Asur 1, Avezzano-Sulmona-L’Aquila, Firenze, Brescia, Asti, Roma G, Mantova, Milano, Ausl Umbria 2, Como, Bergamo, Lecco), pari al 17,5% del campione. Solo una, Napoli 1 Centro, supera i 50 punti su 100 raggiungendo una performance ottima.
La spesa pubblica dichiarata dagli 85 Comuni capoluogo ammonta a 27.083.871,71 euro l’anno nel 2013, con un costo medio di 1,74 euro per cittadino e picchi di spesa fino a 13,15 euro/cittadino a Matera o a 10,3 euro a Terni, opposti ai 10 centesimi spesi da Padova o ai 17 centesimi di Bolzano. La spesa a carico delle aziende sanitarie locali è stimabile, per il 2013, intorno ai 151.956.670,00 euro/anno, con un costo medio di 2,5 euro/cittadino.
La gran parte degli attuali costi è dovuta alla gestione dei cani nei canili rifugio. I Comuni dichiarano di spendere oltre l’80% del bilancio destinato al settore per i canili (circa 85 milioni di euro per il 2013), gestiti nel 12% dei casi in proprio, tramite ditte o cooperative con appalto pubblico nel 30% dei casi e tramite associazioni in convenzione nel rimanente 58% dei casi. Solo due terzi dei Comuni dichiara di sapere quante e quali siano le strutture autorizzate (77,6%), così divise: 58 canili sanitari, 24 gattili sanitari, 87 canili rifugio, 6.988 colonie feline, 422 aree urbane per cani, 45 pensioni per cani, 51 allevamenti di cani, 61 campi di educazione e addestramento cani. Più alto il numero denunciato dalle aziende sanitarie (il 96% conosce le strutture), ma non tutte effettuano i necessari controlli (89%) presso i 181 canili sanitari, 45 gattili sanitari, 311 canili rifugio, 17.303 colonie feline, 581 aree urbane per cani, 365 pensioni per cani, 488 allevamenti di cani, 161 campi di educazione e addestramento cani e 68 altre tipologie di strutture.
Rispetto alle colonie feline diffuse sul territorio, che variano a seconda delle due fonti tra 14.659 (aziende) e 17.500 (amministrazioni comunali), il 68% dei Comuni e il 73% delle aziende dichiara di effettuare i monitoraggi. Tra le città più amiche dei gatti troviamo Roma (4.415 colonie e 55.725 gatti), Torino (1.424 colonie e 26.000 gatti), Napoli (1.242 colonie e 12.008 gatti) e Milano (700 colonie e 7.000 gatti). Per quanto riguarda l’anagrafe canina, dall’indagine è emerso che il 68,2% dei Comuni dichiara di conoscere il numero complessivo dei cani iscritti nella anagrafe del proprio territorio, il 70% di conoscere il numero delle nuove iscrizioni avvenute nel 2013. Tra le Asl, l’82% dichiara di conoscere il numero complessivo dei cani iscritti nel proprio territorio e l’81% di conoscere il numero delle nuove iscrizioni.
Poi c’è la questione del randagismo: in media, nei Comuni capoluogo, nel 2013 ogni 4 cani catturati 3 hanno trovato felice soluzione tra restituiti ai proprietari, dati in adozione e/o reimmessi come cani liberi controllati, ma anche in questo caso ci sono situazioni molto differenti: male Catanzaro, dove trova una soluzione positiva meno di un cane ogni 11 catturati; bene Verbania, dove per un cane catturato trovano soluzione 10 cani. Stessa cosa tra le Asl: in media nel 2013 ogni 3 cani catturati 2 hanno trovato felice soluzione, ma nella Asl di Cremona ogni 10 cani catturati meno di 2 trovano casa, e per la Asur 2 di Ancona per un cane catturato trovano soluzione per 5 cani.
Una buona gestione dei cosiddetti cani di quartiere o liberi controllati riguarda meno di un Comune su 5. I Comuni che hanno dichiarato di avere cani liberi controllati sono nell’87,5% dei casi al Sud, nel 12,5% al Centro e in zero casi al Nord Italia. Sono stati dichiarati complessivamente 7.118 cani liberi controllati dai Comuni capoluogo con 954 cittadini specificamente impegnati, ma di questi ben 5.907 sono in città capoluogo siciliane (83% del totale). Ma i numeri per i medesimi territori non coincidono: Napoli non segnala alcun cane libero controllato, mentre l’Asl Napoli 1 Centro indica la presenza di 566 cani e 32 cittadini specificamente incaricati; il Comune di Roma segnala 400 cani e 300 cittadini incaricati ,mentre le Asl Roma A e Roma E dichiarano complessivamente solo 32 cani e 5 cittadini incaricati.
Ma chi tutela gli animali e interviene in caso di necessità? Il 74% dei Comuni dichiara di avere un nucleo di Polizia municipale destinato a effettuare specifici controlli e ben il 60% dichiara di aver dotato il proprio personale di lettore microchip necessario per leggere la ‘targa’ del cane, mentre andando a calcolare quanti lettori di microchip sono stati effettivamente distribuiti dai Comuni questi risultano essere solo 135 in tutta Italia, ossia in media 1,2 per Comune capoluogo. Numero coerente con i controlli effettuati: 2.967 in totale, ossia un controllo in un anno a un cittadino ogni 5.255 residenti. Di pari passo l’importo delle somme recuperate attraverso le specifiche sanzioni amministrative, che ammontano in tutta Italia nel 2013 a 103.278,78 euro, di cui ben il 60,3%, ossia 62.303,4 euro, frutto di sanzioni elevate in sole tre città: Prato, Perugia e Pistoia.
Quasi tutte le Asl dichiarano di intervenire per il rispetto delle regole e il contrasto del maltrattamento degli animali (89%) e praticamente tutte dichiarano di aver fornito di lettori microchip il proprio personale (97,2%) per un numero complessivo di 899 lettori in tutta Italia, ma i numeri relativi alle sanzioni dicono altro: in totale 4.462 controlli effettuati, ossia un controllo in un anno ad 1 cittadino ogni 6.796 residenti. Chi chiama Comune o Asl per avere informazioni o aiuto in caso di animali selvatici in difficoltà avrà un’indicazione utile dal 57,5% dei Comuni. Le risposte rinvieranno nel 29,4% dei casi alle Asl, nel 28,2% alla Polizia provinciale e nel 23,5% dei casi a Corpo forestale e associazioni di protezione degli animali. Nel caso delle Asl, 2 su 3 danno risposta (il 66,2% dei casi), anche se soltanto 1 su 5 dichiara di intervenire con proprio personale (nel 19% dei casi).
Ancora inferiore risulta il livello di conoscenza della biodiversità animale che abita sempre più spesso i territori urbanizzati. Solo il 18,8% dei Comuni capoluogo, meno di uno su 5, ha una mappatura delle specie animali presenti e meno di un Comune su 3 mette in atto azioni di prevenzione (il 28,2% dei casi). Tra le aziende sanitarie, 2 su 3 non monitorano le specie sinantrope (il 62,1% dei casi), e quando ciò avviene riguarda nel 29,7% dei casi l’avifauna. Il 50,5% dei Comuni ha dichiarato di avere spazi aperti dedicati agli animali d’affezione: 422 aree dedicate ai cani che corrispondono, in media, a uno spazio dedicato ogni 15.413 cittadini residenti e una distribuzione spaziale di un’area ogni 16,88 kmq. A Napoli c’è un’area dedicata ogni 191.914 cittadini e una distribuzione spaziale ogni 23,4 kmq; a Siena c’è un’area dedicata ogni 3.636 cittadini e una distribuzione spaziale ogni 7,9 kmq.
E le regole? Il 90% dei Comuni capoluogo ha un regolamento per la corretta detenzione degli animali in città; l’accesso ai locali pubblici e negli uffici è regolamentato in 2 Comuni su 3 (nel 62,3% dei casi). Per la fruizione delle coste, tra i 35 Comuni capoluogo costieri che hanno risposto al questionario solo il 28,5% ha adottato un regolamento per l’accesso degli animali. Pochi anche i Comuni capoluogo che hanno adottato un regolamento per facilitare inumazione, cremazione e tumulazione, solo il 29,4%. Pochi i Comuni che hanno approvato regolamenti e agevolazioni fiscali per facilitare le adozioni dai canili (solo il 9,4%); ancor meno quelli che hanno adottato un regolamento (4,7%) per facilitare, con agevolazioni fiscali o sostegni economici la sterilizzazione di cani e gatti, o contrastare, con oneri fiscali, l’attuale incontrollata popolazione riproduttiva canina e felina. Tra le aziende sanitarie, ben il 75,67% del campione dichiara di effettuare azioni di prevenzione del randagismo canino tramite sterilizzazione delle popolazioni di cani e gatti.