Home Attualità Jobs Act: il giudizio dalle fabbriche, su precarietà serviva più coraggio

Jobs Act: il giudizio dalle fabbriche, su precarietà serviva più coraggio

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Roma, 23 feb. (Labitalia) – Sul Jobs Act ‘serviva più coraggio’. E’ il messaggio indirizzato al governo che arriva dalla voce degli operai nelle fabbriche.
“Il governo doveva osare di più con il Jobs act -spiega a Labitalia Raffaele Apetino, operaio alla catena di montaggio dello stabilimento Fca di Pomigliano d’arco, delegato Rsa e segretario regionale della Fim Cisl con delega al mercato dell’auto- cancellando tutte le forme di precarietà come le false partite Iva. Il governo ha perso una grande occasione. E poi serviva uno sforzo in più anche sui licenziamenti collettivi e su questo credo anche che Fim e Cisl devono continuare a chiedere interventi”.
E per Apetino il sindacato può svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo del Paese. “Invito il premier -continua Apetino- a venire a Pomigliano d’Arco a conoscere uno stabilimento europeo d’eccellenza, con un sindacato, la Fim Cisl, che ha un’età media di 36 anni e pensa al lavoro e non si perde dietro a demagogia e sciopero”.
Scendendo più a Sud, in un altro stabilimento della Fca, a Melfi, il giudizio sul provvedimento del governo non è positivo. Per Dino Miniscalchi, operaio alla verniciatura alla Sata di Melfi e delegato sindacale Fiom, “per i ragazzi che entrano oggi in fabbrica questo provvedimento può sembrare una risorsa, una possibilità di entrare al lavoro, ma poi ben presto scopriranno che è solo fumo negli occhi”. “Se inizialmente li fa uscire da una situazione ricattatoria dei contratti a termine e a progetto -sottolinea a Labitalia- poi scopriranno che in realtà è solo un indebolimento del futuro”.
Per Miniscalchi, “con questo provvedimento si punta a dividere gli uni dagli altri, tra cosiddetti garantiti e coloro che non lo sono”. “Ma in realtà – avverte – sono tutti a pagare, visto che i licenziamenti economici sono un provvedimento percorribile in tutte le aziende e per quelli discriminatori resta la reintegra, ma sfido a trovare un datore di lavoro che attua un licenziamento disciplinare con causa discriminatoria. Ci stanno bene attenti…”.
Risalendo l’Italia e arrivando all’Ast di Terni, il giudizio non cambia: “In prima battuta -sottolinea a Labitalia Riccardo Marcelli, impiegato della Ast di Terni e segretario regionale della Fim Umbria- si può dire che servivano più interventi per il futuro del lavoro e che sarebbe servito più coraggio sulla lotta alla precarietà e sulla garanzia del lavoro nel contratto a tutele crescenti”.