Home Nazionale Nuovo farmaco inalatorio può ridurre angoscia e senso umiliazione Sip, cruciali prevenzione e interventi tempestivi e mirati

Nuovo farmaco inalatorio può ridurre angoscia e senso umiliazione Sip, cruciali prevenzione e interventi tempestivi e mirati

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Milano, 14 ott. (AdnKronos Salute) – Oltre 6 pazienti con schizofrenia su 10 che arrivano in un reparto psichiatrico presentano un quadro riconducibile a uno stato di agitazione psicomotoria (più di 14 punti nella scala di valutazione dedicata, la Panss Ec). E il 14% di tutti gli episodi di agitazione psicomotoria – circa 500 mila l’anno in Italia – è legato all’abuso di sostanze stupefacenti. A lanciare l’allarme nuove droghe sono gli esperti riuniti a Giardini Naxos per il 47esimo Congresso nazionale della Sip (Società italiana di psichiatria). Gli specialisti chiariscono che l’agitazione psicomotoria, da droga o meno, si manifesta con un escalation di sintomi che vanno dalla semplice irrequietezza all’aggressività verbale e non, fino all’ultimo stadio di vera e propria violenza.
“In uno studio condotto dal Dipartimento di Salute mentale dell’università degli Studi di Brescia – sottolineano gli psichiatri – risulta che su 500 pazienti con schizofrenia giunti in reparto, ben 314 (il 63%) soddisfacevano i criteri della scala Panss Ec, superando i 14 punti su 35, oltre i quali la condizione del paziente è da considerarsi di agitazione psicomotoria, pur nei suoi vari gradi di pericolosità. Oltre il livello 14, infatti, si tratta comunque di pazienti meritevoli di attenzione clinica specifica e di intervento medico immediato. Un dato nuovo, forse inaspettato – commentano gli esperti – che riporta in primo piano il tema dell’agitazione psicomotoria nei pazienti con disturbi mentali, di cui le cronache hanno riportato recentemente vari casi”.
Per non allungare le pagine di ‘nera’, quindi, “è fondamentale che un’anomalia comportamentale di questo tipo venga riconosciuta il più rapidamente possibile – ammoniscono gli specialisti – identificando la causa tra le tantissime che possono sfociare nella violenza, per poter intervenire il più rapidamente possibile dopo aver escluso possibili ragioni organiche. Se non viene riconosciuta questa gradualità, e non si interviene tempestivamente a livello sia strutturale sia ambientale, il rischio di escalation verso il grado più severo è molto alto. E a essere in pericolo sono principalmente gli operatori sanitari e i familiari”.
“L’agitazione psicomotoria richiede interventi immediati – afferma il presidente della Sip Emilio Sacchetti, direttore del Dipartimento di Salute mentale degli Spedali Civili-università di Brescia – e questa immediatezza è generalmente garantita una volta che il paziente sia giunto in pronto soccorso o sia accettato in un servizio psichiatrico ospedaliero. Più problematica può risultare invece la gestione dell’agitazione psicomotoria al di fuori delle mura ospedaliere, soprattutto perché l’intervento risulta spesso tardivo come nel caso di pazienti non in carico ai servizi psichiatrici territoriali o che non aderiscono al progetto terapeutico, o lo fanno solo parzialmente”.
“Il tipo di intervento, di carattere sia comportamentale sia farmacologico, gioca un ruolo fondamentale – precisa Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze all’ospedale Fatebenefratelli di Milano, e co-presidente del Congresso siciliano insieme a Sacchetti – In situazioni di grande tensione e paura l’agitazione psicomotoria può essere infatti prevenuta, e una volta sviluppata risulta anche del tutto curabile”.
“A livello di prevenzione – puntualizza lo psichiatra – è cruciale la preparazione al riconoscimento precoce sia da parte del network familiare e di quanti interagiscono con pazienti con precedenti episodi di agitazione psicomotoria, sia dei pazienti stessi. A livello di cura, si deve sempre prevedere una strategia complessa che coniughi tra loro interventi ambientali, psicologici, comportamentali e farmacologici, quali l’offerta di una camera singola, la riduzione per quanto possibile di qualsiasi stimolo esterno nocivo e quindi la garanzia di un contesto tranquillo, lo sforzo costante da parte di tutto lo staff per un rapporto basato sulla disponibilità ed empatia e l’uso di medicinali ad hoc”.
“E’ fondamentale – riprende Sacchetti – che l’intervento sul paziente in agitazione psicomotoria si articoli sempre tenendo in primo piano la necessità del rispetto della persona. Quindi, nella pratica clinica anche dei casi più gravi, non può e non deve limitarsi alla semplice somministrazione più o meno forzata di una qualche terapia farmacologica: la farmacoterapia deve inscriversi in un progetto più vasto e sfaccettato, di tipo relazionale e di coinvolgimento/adesione del paziente”.
“In quest’ottica – continua il numero uno della Sip – è evidente che l’uso per via iniettiva di farmaci, siano benzodiazepine o antipsicotici di prima o seconda generazione, può qualificarsi non di rado come un intervento coercitivo che può rendere problematico instaurare un valido ed empatico rapporto medico-paziente, anche se il contenimento farmacologico implica vissuti meno drammatici di quello fisico. Nella prospettiva di un progetto terapeutico basato sulla collaborazione e fiducia, appare di notevole importanza e valore innovativo l’acquisizione di farmaci per il trattamento dell’agitazione psicomotoria che vengono somministrati per via inalatoria: l’esperienza clinica nelle nazioni dove questi farmaci sono già stati commercializzati conferma che la assunzione inalatoria viene vissuta in maniera molto meno coercitiva ed invasiva dai pazienti”.
“La possibilità di utilizzare strumenti che non siano solamente di tipo iniettivo – conferma Mencacci – sicuramente può consentire di vivere con minore senso di angoscia un intervento medico comunque complesso. Tutto ciò che ci permette di stabilire un rapporto di collaborazione. E soprattutto la possibilità di utilizzare modalità meno cruente, a parità di rapidità d’azione, deve essere un principio guida nel trattamento di questi casi. In particolare per quanto riguarda le donne, contribuisce a far vivere con minor intrusione e senso di umiliazione una situazione dove la terapia è oggi per necessità è fatta intramuscolo”.