Home Nazionale Sanità: Eures, 8 medici su 10 favorevoli agli infermieri specialisti

Sanità: Eures, 8 medici su 10 favorevoli agli infermieri specialisti

0

Roma, 6 mar. (AdnKronos Salute) – Nove medici su 10 sono soddisfatti del loro rapporto con le professioni sanitarie. Il 94,2% – anche di più, quindi – lo è nei confronti proprio degli infermieri. E ben 8 su 10 ‘approvano’ la figura dell’infermiere specialista. Maggiormente favorevoli all’introduzione di questo ruolo le donne (84% contro 76% degli uomini), i medici più giovani e quelli dell’area neonatologico-pediatrica.
Sono i risultati dell’indagine ‘L’interazione medico-infermiere nelle strutture sanitarie’ condotta dall’Eures, Istituto di ricerche economiche e sociali, che ha analizzato, nel 2014, aree geografiche (Nord, Centro, Sud), generi (uomo, donna) e fasce di età (fino a 39 anni, 40-54 anni, 55 anni o più), in 212 strutture sul territorio nazionale, per un totale di 380 reparti coinvolti. La ricerca è stata presentata oggi al XVII Congresso della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi, in corso all’Auditorium Parco della musica di Roma.
Il problema delle relazioni tra medici e infermieri – messo in evidenza da qualche settimana per le critiche al ‘comma 566’ della Legge di stabilità 2015 che dà la possibilità normativa di prevedere competenze avanzate – quando c’è si riscontra a livello di ‘comando’. Sul piano della dirigenza (primari soprattutto), infatti, in una struttura su 4 non si affronta in genere la questione della collaborazione tra le diverse figure sanitarie, mentre il 4,2% la ‘tollera’ pur non incentivandola, e un residuale 0,5% la ostacola. In generale, però, il 79,3% dei medici è favorevoli all’introduzione dell’infermiere specialista, sulla quale è già pronto un accordo Stato-Regioni. In particolare, il 25,6% dei medici si dice “del tutto favorevole” e il 53,7% “abbastanza favorevole”, mentre il 20,7% è contrario. In realtà solo l’11,9% di tutti i medici intervistati è contrario, perché ritiene che la figura genererebbe sovrapposizione e confusione dei ruoli. Oltre 2 medici su 3 sono convinti che la presenza dell’infermiere specialista sarà “molto” o “abbastanza utile ed efficace” in tutte le aree mediche in cui sarà impegnato.
Maggiormente favorevoli alla presenza degli infermieri specialisti in corsia sono i medici dei reparti di medicina generale (75,5%) e di neonatologia/pediatria (74,3%), seguiti dai medici impegnati nell’area intensiva e dell’emergenza/urgenza e da quelli della salute mentale e dipendenze (66,7% in entrambi i casi). Una valutazione positiva di utilità/efficacia c’è anche tra i chirurghi (63,5%) e i medici dell’area delle cure primarie e servizi territoriali (55%), tra i quali tuttavia gli ‘scettici’ sono il 45%.
Sono inoltre i medici ospedalieri (87%) e quelli che non svolgono attività intramoenia (87,6%) ad apprezzare di più la proposta, riconoscendo il valore aggiunto, le potenzialità e le positive ricadute che potrà avere una figura infermieristica con competenze avanzate. Sul fronte opposto, la condivisione scende di circa il 20% tra i medici che lavorano anche presso studi privati o che svolgono soprattutto intramoenia, tra i quali i contrari salgono rispettivamente al 35,2% e al 35,1%. L’area dei contrari è poi maggiore nelle più alte gerarchie mediche: 36,4% tra i dirigenti delle Unità operative complesse (comunque favorevoli nel 63,7% dei casi), a fronte del 14,6% dei direttori delle Unità operative semplici (favorevoli nell’85,4% dei casi). La collaborazione tra le diverse figure sanitarie sembra costituire quasi un imperativo nella gestione delle Uo, visto che oltre 7 dirigenti su 10 la “promuovono” o la “impongono”.
E sono i dirigenti delle strutture private (accreditate/convenzionate) a sostenerla di più (86,4% dei casi) rispetto a quelli delle strutture pubbliche (71,2%), dove invece, più frequentemente, i dirigenti tendono a non occuparsene (24,1% dei casi contro il 13,1% delle strutture accreditate/convenzionate). “La ricerca – sottolinea Annalisa Silvestro, senatrice e presidente della Federazione Ipasvi – dimostra che c’è bisogno di professionalità sempre maggiori e soprattutto di una forte collaborazione trasversale per aiutare davvero il cittadino e ottimizzare i servizi. Si devono abbandonare quindi le trincee ideologiche e nessuna famiglia professionale deve arrendersi a essere quella di tanti anni fa e nessuna deve prevalere su nessun’altra. La parola magica, la chiave del futuro, è fare rete e collaborare. Ognuno con le proprie competenze che devono e possono, la ricerca lo sottolinea, crescere e cambiare perché l’evoluzione dell’assistenza lo richiede”.