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Uil Toscana, in un mese cig aumentata del 140%

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Firenze, 23 feb. (Labitalia) – Vola a gennaio la cassa integrazione in Toscana: rispetto al mese precedente, le ore di cig sono aumentare del 140,2%, risultato del +5,6% della cig ordinaria, del +227,9% della cig straordinaria e del +29,1% della cig in deroga. A sottolineare il dato è uno studio della Uil Toscana, che riporta come anche nella regione, sempre a gennaio 2016, le ore autorizzate siano state 4.029.189, in aumento del 28,2% in confronto a gennaio 2015 (-48,3% dell’ordinaria, 51,4 straordinaria, 45,6% della cassa in deroga). In Toscana, la cassa integrazione a gennaio 2016 ha interessato 23.701 lavoratori, in aumento di 13.832 unità rispetto a dicembre 2015. Le ore richieste per settori produttivi evidenziano queste variazioni: +19,3% industria, -33,8% edilizia, +221,7% artigianato, +255,6% commercio, +343,6% settori vari.
“Questi dati dimostrano – è il commento del segretario generale della Uil Toscana Francesca Cantini – che parlare di ripresa economica è pura fantasia. La verità è che ci sono alcune zone del paese che non riescono a uscire dalla crisi. Basta guardare i numeri di province come Grosseto e Livorno, ma non solo. La costa toscana non può pagare la mancanza cronica di una politica industriale a livello nazionale”. Grosseto e Livorno risultano, infatti, le province più colpite dalle crisi aziendali. Le ore autorizzate nelle province toscane a gennaio 2016 rispetto a dicembre 2015 hanno seguito questo andamento: Firenze +11,1%, Arezzo -62,2%, Grosseto +733,2%, Livorno 644,5%, Lucca -28,7%, Massa Carrara -58,%, Pisa -53,3%, Pistoia -77,8%, Prato -65,2%, Siena -81,9%.
“Mancano risorse sufficienti – aggiunge Cantini – per finanziare la cassa in deroga, oltre alle solite lungaggini burocratiche per autorizzare la casa ordinaria e straordinaria. Invece che fare proclami trionfali di ripresa economica, il governo dovrebbe pensare a rafforzare il sistema di protezione sociale attraverso gli ammortizzatori sociali perché, come si vede, la crisi non è finita e a pagarne il prezzo sono sempre i soliti: i lavoratori”.