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Il lusso sposa la sostenibilità con Sustainable Luxury Academy

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Roma, 20 giu. (Labitalia) – Lusso e sostenibilità non sono un ossimoro. Anzi, tra chi acquista oggetti di alta gamma, specialmente nelle giovani generazioni, sono sempre più marcati il senso di responsabilità nei confronti del destino del pianeta e la sensibilità verso una produzione e un mercato rispettosi dei diritti di tutti, a partire dai lavoratori. Anche da queste considerazioni nasce la Sustainable Luxury Academy, lanciata dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con Mazars, società di revisione e Advisory da tempo impegnata sul fronte della sostenibilità, che vuole riunire le voci più influenti dell’industria del lusso per incidere positivamente sul mercato.
Una sorta di Osservatorio permanente che monitori quanto le aziende italiane del lusso siano effettivamente sostenibili – quali, in che settori, con che tipo di politiche e risultati, fino a posizionare ogni azienda su un ‘maturity model’ che misuri il livello di adozione di pratiche idonee – e proponga una roadmap di azioni da intraprendere, ma anche un laboratorio di idee in cui imprese, esperti, docenti e ricercatori possano confrontarsi, collaborare, far circolare best practice, mettere a punto nuove strategie per sviluppare e diffondere questa cultura sempre più necessaria e apprezzata dai consumatori.
Il workshop di lancio della Sustainable Luxury Academy si è tenuto al Politecnico di Milano, dove si sono ritrovati una trentina di esperti provenienti da aziende del lusso, della moda e del design molto significative nel panorama italiano, tra cui Armani, Ferragamo, Canali, Safilo, Luxottica, Canepa, Vivienne Westwood che hanno già aderito al progetto.
“Non solo i consumatori, ma le imprese stesse – commenta Alessandro Brun, direttore del Master in Global Luxury Goods and Services Management (MGLuxM) della School of Management del Politecnico di Milano, da 10 anni impegnata a fare ricerca e didattica sull’industria del lusso anche con il contributo di una faculty internazionale sempre più prestigiosa – sono molto sensibili al tema della sostenibilità. Proprio da loro viene la richiesta di fare formazione, di condividere le pratiche migliori, anche tra competitor, di far circolare casi di successo a cui ispirarsi, di creare un vero ecosistema in modo da dare voce alle esigenze e alle esperienze di chi realmente sta cambiando la propria organizzazione per produrre in tutta trasparenza, a basso impatto ambientale e senza sfruttamento, del pianeta e del lavoro”.
La moda è la seconda industria più inquinante del mondo, dopo quella del petrolio: sono circa 8.000 le sostanze chimiche sintetiche che vengono utilizzate per trasformare le materie prime in tessuti, attività che richiede circa 200 tonnellate di acqua per ogni tonnellata di prodotto. Per non parlare della quantità di rifiuti che ne esce, o di quanto l’uso di pellami e pellicce incida sul cambiamento climatico e la biodiversità. Questo per ciò che riguarda la sostenibilità ambientale. Ma non è certo meno importante l’impatto che l’industria del lusso ha sulla vita delle persone: secondo l’International Labour Office, sono addirittura 168 milioni, nel mondo, i bambini impiegati negli stabilimenti tessili e dell’abbigliamento.
Non ci sono solo dati negativi, ovviamente. Si prenda ad esempio il settore della gioielleria: con il Kimberley Process amministrazioni, società civili e industria del diamante si sono unite per evitare la circolazione di ‘conflict diamonds’, diamanti utilizzati per finanziare guerre contro i governi. E’ dunque necessario rivedere i modelli di business e ristrutturare i processi, perché un prodotto di lusso può dirsi sostenibile solo se assicura la protezione ambientale e sociale lungo tutto il suo ciclo produttivo e commerciale.