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Dalla Consulta della Moda le richieste per sostenere il comparto

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Dalla Consulta della Moda le richieste per sostenere il comparto

Formazione professionalizzante, più laboratori, incentivi per la formazione in azienda, soluzioni per lo smaltimento degli scarti di lavorazione: sono queste alcune delle principali richieste che partono dalla Consulta della Moda di Arezzo, l’organismo creato nel 2014 dai rappresentanti delle categorie artigiane e industriali per rappresentare le esigenze del settore.
Il comparto della moda, ovvero tessile, abbigliamento, calzature e pelletterie è fondamentale per l’economia in provincia di Arezzo.
“Siamo il secondo settore produttivo dopo quello orafo – dicono con orgoglio il presidente pro tempore Carlo Donati (Confartigianato) e i past president Aldo Cappetti (CNA) e Marco Sanarelli (Confindustria) – e la nostra qualità è eccellente, tanto che i più famosi brand internazionali usano molte nostre aziende come contoterziste. Siamo un comparto che rappresenta, complessivamente, oltre 1100 aziende e diamo lavoro a circa 11 mila persone. Di queste circa 4400 addetti riguardano la pelletteria e le calzature, con quasi 400 aziende, invece nel settore abbigliamento e maglieria operano oltre 5200 addetti e quasi 600 imprese. Sono numeri di tutto rispetto per la provincia di Arezzo, nonostante un lieve calo rispetto al 2014, dovuto alla crisi.”
Dunque la crisi ha colpito anche la moda, ma complessivamente, pur non raggiungendo ancora i valori pre-crisi, il settore punta alla ripresa, sopratutto grazie all’export, che conta oltre un miliardo di valore.
“Le imprese votate all’ export sono, fondamentalmente, fornitrici delle più prestigiose case di moda mondiali (da Valentino a Versace, da Vuitton a Gucci, Hermes, Chanel e molte altre grandi firme del lusso mondiale) che si vogliono fregiare del “ made in Italy “ universalmente riconosciuto come sinonimo di qualità, eccellenza, cose ben fatte, dove la Toscana è una delle protagoniste assolute e la nostra provincia ne è parte fondamentale – dicono in coro Donati, Sanarelli e Cappetti – inoltre le nostre imprese hanno puntato molto sul rispetto ambientale, con la raccolta differenziata, fonti di energia alternative,risparmio energetico ecc. Oggi è fondamentale sostenere il comparto, non intralciare la ripresa e garantire ricambio generazionale.”
Le sofferenze infatti non mancano, alcune di queste sono definite “ataviche”, come la burocrazia e le infrastrutture carenti, altre si sono aggiunte negli anni, come la ricerca di manodopera specializzata e la formazione, infine alcune sono recentissime come lo smaltimento di materiali di scarto della lavorazione per la pelletteria.
“Le nostre aziende lavorano con le mani e con il cuore – ribadisce il presidente pro tempore della Consulta, Carlo Donati – se non trasmettiamo ai giovani il nostro saper fare e non facciamo loro provare emozioni, non possiamo garantire un futuro a quella che oggi è un’eccellenza che porta la nostra provincia a primeggiare in Toscana.” Dunque Donati chiede scuole professionalizzanti, laboratori, luoghi dove gli studenti possano fare pratica. “Oggi le scuole sono tutte Licei – dice Donati – io dico che la cultura va benissimo, la teoria va bene, ma ci vuole anche tanta pratica. Dobbiamo creare scuole professionali, che da almeno dieci anni non ci sono più, e un esempio può essere quello della Scuola Orafa, perché i giovani hanno tanti talenti e capacità, ma dobbiamo aiutarli a svilupparli. Se non lo facciamo perderemo la nostra artigianalità, quella meraviglia che caratterizza l’Italia e che il mondo ci invidia. Nel mio settore, la sartoria, i segnali sono allarmanti: in Italia avevamo circa 150mila sartorie fino agli anni ’70, oggi sono ridotte ad una manciata.”
Un tema, quello della formazione specifica e della manualità, che vede impegnato anche Marco Sanarelli, che punta particolarmente l’attenzione sulla necessità della formazione in azienda e chiede per questo che siano previsti incentivi per le imprese. “Ciascuna delle nostre aziende, che sono davvero manifatturiere – spiega Sanarelli, impegnato nel settore maglieria – ha delle specifiche peculiarità, dunque la formazione non può essere generica, va fatta all’interno dell’impresa, ma non esiste per questo nessun incentivo se non quello che accantona l’ azienda medesima per questo scopo.”
“Emerge con chiarezza – soggiunge Aldo Cappetti – come lo sviluppo del comparto, in particolare nel mio settore, quello della pelletteria, sia condizionato da due fattori, al momento carenti: i talenti del futuro e le tecnologie del futuro. Da una parte la ricerca ‘disperata’ di giovani disposti non tanto e non solo ad imparare, ma a rimanere e crescere all’interno delle attività, dall’altra la necessità di adottare immediatamente le nuove tecnologie, la bassa digitalizzazione è infatti un fattore che abbatte enormemente la competitività delle imprese”.
E negli ultimi tempi è arrivata un’altra criticità: l’aumento vertiginoso dei costi di smaltimento degli scarti in pelle.
“Fino a qualche mese fa – ricorda Cappetti – questi venivano conferiti per la quasi totalità in discarica, ma ora non è più consentito, per i valori di cromo presenti. Di conseguenza tutti i ritagli della lavorazione di oggetti in pelle (borse, portafogli, portachiavi, capi d’abbigliamento, ecc.) devono essere smaltiti attraverso la termodistruzione.” Ma anche qui pare che la soluzione in Toscana non ci sia, nonostante ad Arezzo sia presente uno dei tre termovalorizzatori della regione, che sarebbero saturi con i rifiuti urbani. E così i ritagli di pelle prendono la via dell’Austria o della Slovenia, dove vengono inviati ai termovalorizzatori, ma il costo si scarica sulle aziende contoterziste, che vedono limati ancor più i loro esigui margini rispetto ai grandi brand.
“Per noi – racconta Cappetti – il costo sale dai 15/20 centesimo chilo ai 35/45 centesimo chilo, oltre alle spese del trasporto.” Come risolvere? “Urge sbloccare la situazione – risponde – e consentire nel breve il conferimento presso impianti esistenti, mentre nel lungo periodo serve un piano regionale industriale complessivo ed una strategia chiara in materia di rifiuti. Essenziale sarebbe anche la caratterizzazione degli scarti di pelle come “sottoprodotto” e non come rifiuto, in modo da facilitarne il reimpiego nei processi industriali ed il recupero per la produzione di beni.” Per ora risposte non ce ne sono state e le categorie sono in attesa di quella che viene definita l’incognita della manovra finanziaria .
“Nonostante l’ incontro con i rappresentanti dell’attuale governo abbia dato alcuni risultati positivi – rileva Sanarelli – sicuramente c’è ancora molto da fare per dare risposte positive e concrete, soprattutto, al settore produttivo depositario di quel “ savoir faire “ che il mondo ci invidia.” E ricorda che: “Il comparto della moda rappresenta in Italia nel suo complesso la terza più grande industria del Paese con un fatturato di circa 95 miliardi, con un surplus commerciale di circa 28miliardi. Siamo pertanto – conclude – un interlocutore chiave dell’ economia italiana per il quale è doveroso fare interventi strutturali”.