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Rbm Salute: “28% di chi vive al Sud rinuncia alle cure”

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Roma, 13 dic. (AdnKronos Salute) – Un quarto dei cittadini che vivono nel Mezzogiorno, il 28%, è costretto a mettere mano al proprio portafoglio e, troppo spesso, a rinunciare a curarsi a causa del proprio reddito. Per far fronte alle mancanze del Ssn il 70% ricorre a visite specialistiche pagate di tasca propria (+7,6% rispetto alla media nazionale). Superiore alla media anche la frequenza di ricorso ai farmaci out of pocket, pari all’87%, una cifra che si discosta di oltre 15 punti percentuali rispetto alla media nazionale. A lanciare l’allarme è Marco Vecchietti, amministratore delegato e direttore generale di Rbm Assicurazione Salute, che su questo tema interviene oggi e domani a Napoli in occasione del convegno “Qualità in sanità, tra equità e sostenibilità”.
Tra le possibili soluzioni per cercare di mettere fine a questa preoccupante situazione, e garantire a tutti i cittadini della penisola equità e pieno accesso alle cure, “è sempre più necessario un welfare supplementare per il Mezzogiorno, che potrebbe essere finanziato attraverso i fondi europei, oggi pericolosamente a rischio per mancato utilizzo”, sostiene Vecchietti.
“Il welfare supplementare in sanità è doveroso per tentare di ridurre il gap che spezza in due il nostro Paese – spiega il numero uno di Rbm – le forme sanitarie integrative possono finanziare aree di prestazioni economicamente non più sostenibili dal Ssn garantendo comunque la loro erogazione mediante delle strutture pubbliche o convenzionate. Le Regioni potrebbero trasferire ad un terzo (fondi sanitari/compagnia di assicurazioni) in tutto o in parte l’onere economico connesso all’erogazione delle prestazioni sanitarie di una determinata area di trattamenti, garantendo comunque al cittadino il rispetto dei Lea predefiniti su base territoriale e a fronte di un budget di spesa predeterminato”.
“Analizzando il quadro complessivo – rileva Vecchietti – credo sia necessario investire su fondi pensione e fondi sanitari territoriali. Inoltre, si potrebbero promuovere fondi welfare territoriali per assicurare tutele integrative in campo pensionistico, sanitario ed assistenziale, consorziare gli enti locali e favorire una pianificazione integrata. Coinvolgendo aziende, ordini professionali e categorie presenti sul territorio sarebbe possibile dare vita ad un welfare del territorio e ampliare così le esperienze di welfare occupazionale”.
Ad aggravare la situazione il meccanismo delle detrazioni attualmente vigente: quasi il 60% dei costi sostenuti da tutti i cittadini italiani attraverso la finanza pubblica per garantire le risorse necessarie al funzionamento di tale sistema, viene assorbito dalle regioni del Nord – evidenziano gli esperti – meno del 20% da quelle del Sud e delle isole. Ad oggi, la macro-area Sud e isole è quella con il minor numero di assicurati (soltanto 1 cittadino su 10 usufruisce di polizze sanitarie collettive/fondi integrativi e poco meno del 10% di polizze sanitarie individuali). Di conseguenza, in questa zona del Paese la spesa sanitaria intermediata pro-capite è di soli 18,90 euro a fronte di una spesa sanitaria privata pro-capite pari a 495,42 euro (3,8% contro il 13,3% del Nord-Est).
“Attualmente gli italiani che già hanno una forma sanitaria integrativa beneficiano di una riduzione della loro spesa sanitaria privata di 2/3. Ed essendo l’attuale impianto della sanità integrativa di matrice prevalentemente occupazionale anche la sua diffusione ricalca la struttura produttiva del Paese favorendo inevitabilmente le Regioni del Centro Nord dove sono presenti la maggior parte delle pubbliche amministrazioni (Centro) e del tessuto produttivo delle piccole medie imprese (Nord) che – conclude Vecchietti – rappresenta la spina dorsale della nostra economia”.