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Anci, la cerimonia di apertura. Arezzo “caput mundi” amministrativa

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Anci, la cerimonia di apertura. Arezzo “caput mundi” amministrativa

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è arrivato ad Arezzo intorno alle 16.30. E’ stato accolto dagli applausi dei sindaci, delle massime autorità locali, degli amministratori, tutti solennemente in piedi, con i quali non sono mancate cordiali strette di mano.

Quindi, l’Inno d’Italia e l’emozione dei presenti è stata palpabile.

Sul palco il sindaco di Arezzo Alessandro Ghinelli, il presidente della Provincia Silvia Chiassai Martini, il presidente della Regione Enrico Rossi, il presidente dell’Anci regionale Matteo Biffoni.

L’intervento di apertura è stato del presidente del Consiglio Nazionale Anci Enzo Bianco, che dopo i saluti istituzionali, ha detto: “in questo momento voglio rivolgere un pensiero speciale ai colleghi sindaci che, viste le difficoltà, non sono qui con noi. Un pensiero, quindi, al sindaco di Venezia e un pensiero al sindaco di Matera, anche lui in grandi difficoltà. E desidero rivolgere un pensiero altrettanto affettuoso ai colleghi che quotidianamente si trovano ad affrontare emergenze, uno in particolare al sindaco di Taranto. E ancora, voglio rivolgere un pensiero altrettanto sentito al presidente della nostra associazione Antonio Decaro, rieletto da poco con voto unanime. L’unità è la forza della nostra associazione. Ognuno ha la sua fede e il suo credo politico, ma quando siete sindaci voi siete sindaci della vostra comunità. Uniti abbiamo forza, anche quando protestiamo. Rivolgendomi al Governo dico, dateci leggi necessarie, dateci la nostra serenità“.

E’ stata quindi la volta del presidente di Anci Toscana, Matteo Biffoni, nonchè sindaco di Prato, che è intervenuto così: “a nome di Anci Toscana e di tutti i sindaci la ringrazio per la sua usuale presenza e ringrazio tutti gli amministratori presenti oggi all’Assemblea nazionale di Anci. Presidente, la sua presenza qui oggi è per noi motivo di grande orgoglio e soddisfazione. E sono orgoglioso anche perché quest’anno la nostra prestigiosa Assemblea si svolge ad Arezzo nella nostra meravigliosa Toscana. Una terra che è da sempre uno dei fulcri della storia, della politica e della società del nostro paese, una terra di campanili ma anche di apertura, di collaborazione, di innovazione. E di ospitalità, come sono certo potrete sperimentare nei tre giorni del nostro evento.
Fuori da ogni retorica, Presidente, mi permetta di ritenere ultroneo spiegare ancora una volta, e soprattutto a lei, signor Presidente, il ruolo dei sindaci nel nostro Paese. Ormai è dato acquisito che è a ciascuno di noi che i cittadini esprimono le proprie richieste, paure, aspettative; è alla porta del sindaco che bussa chi è in difficoltà, chi vuol segnalare un piccolo o grande problema, chi ha una idea o una proposta, indipendentemente da argomento e contesto. Presidente, non starò qui a dilungarmi sulla centralità dei 7.914 sindaci italiani nella tenuta democratica del nostro Paese e su quanto sia utile che la voce di chi ogni giorno è a contatto con i cittadini venga ascoltata là dove si legifera, in Parlamento. Meglio di me lo farà il Presidente di Anci, Antonio De Caro a cui vanno i miei fraterni complimenti per la meritata rielezione.
A lei, signor Presidente, che è garante della Costituzione e rappresentante dell’unità del nostro Paese, alla sua saggezza io affido un appello, accorato, sincero: lasciateci lavorare, dateci fiducia. I sindaci italiani hanno orientamenti politici diversi, governano città grandi e piccole, realtà più o meno complesse, territori più o meno ricchi e certo è che nessuno di noi è stato costretto ad indossare la fascia tricolore. Tutti noi lo facciamo per passione verso la cosa pubblica e la politica, amore verso le comunità che rappresentiamo, con l’ambizione di lavorare per rendere le nostre città ogni giorno un pochino migliori, ed essere ricordati come bravi sindaci. Certo è un onore, una soddisfazione, un orgoglio, ma è anche la fatica di un lavoro che non conosce termine, la responsabilità civile e penale, l’ansia delle allerte meteo. E il mio pensiero va ai tanti amministratori e agli operatori della protezione civile impegnati in questi giorni  sulle emergenze in tutta Italia e anche qui in Toscana.
E, dunque dicevo, condividendo gli stessi problemi e le stesse responsabilità, a noi tutti i cittadini chiedono risposte concrete e in tempi certi. A volte si tratta di risolvere temi importanti, spesso di dare risposte su questioni invece semplici, piccole, ma che per una strada, un quartiere, un paese possono significare molto per il loro futuro.
Ecco Presidente, è per questo che abbiamo bisogno di poter lavorare in tempi ragionevoli e con strade lineari. Più liberi da una burocrazia che rende difficile qualsiasi intervento, con tempi che tendono all’infinito, spesso incapaci di avere termini certi nelle risposte dei tanti enti che interagiscono con i Comuni, avviluppati da miriadi di norme talvolta bizzarre, spesso bizantine, con talvolta l’impossibilità di investire o assumere anche quando i bilanci sono sani, perché, invece e ad esempio per far funzionare meglio i Comuni servono i tecnici,  gli agenti di polizia municipale o gli assistenti sociali, e ancora ad esempio l’attuale conformazione del fondo crediti di dubbia esigibilità drena denari che potrebbero essere spese in scuole o impianti sportivi . E potrei continuare.
E allora dateci fiducia, lasciateci gestire le risorse nel modo che noi troviamo migliore per i nostri territori, perché ciascuno ha le proprie peculiarità e lo stesso provvedimento non può essere sartoriale e puntuale per tutti, ma può funzionare bene se è modulato a misura da ciascun Comune. E allora, ad esempio, sulla intelligente proposta sugli asili nido, date le risorse ai Comuni, ognuno saprà come impiegarle al meglio, facendo nascere strutture nuove dove mancano, azzerando le tariffe là dove gli investimenti sono già stati fatti.
E’ per questo Presidente che la Sua costante presenza oggi alla nostra assemblea ci riempie di fiducia. Ed è a Lei che affidiamo la nostra richiesta, ci aiuti a realizzare il sogno di ogni Sindaco: avere norme chiare, percorsi semplici, tempi certi e le giuste risorse per poter dare risposte concrete ai cittadini,  alle famiglie, alle imprese che quotidianamente ascoltiamo. Ne va di un futuro migliore per il Paese intero. Dateci fiducia, le assicuro che non la tradiremo. Buon lavoro a tutte e a tutti noi”.

La presidente della Provincia, Silvia Chiassai Martini, nel suo intervento ha detto: “sono sindaco, presidente di Provincia e vicepresidente Upi. Un ruolo troppo spesso considerato una rarità, ma così non deve essere. Abbiamo affrontato i momenti di crisi anche grazie alla sua vicinanza, signor presidente della Repubblica. Questo sostegno ci è stato indispensabile e speriamo che possa tradursi, prima possibile, in un incontro con tutti i presidenti delle Province, per ringraziarla. Finalmente si vede un cambio di rotta del Governo nei confronti delle Province. Questa assemblea si intitola ‘Ascoltare, decidere, migliorare’ per cui in questo frangente della manovra permettetevi di chiedere al Governo di ascoltare le istanze delle Province e dei cittadini“.

Quindi, è stata la volta del sindaco di Arezzo, Alessandro Ghinelli, che nel suo intervento ha raccontato Arezzo anche nel suo profondo, nella sua essenza: “signor Presidente della Repubblica, carissimo Presidente di Anci Nazionale e carissimo Presidente di ANCI Toscana, colleghi sindaci, signor Presidente della Regione, autorità civili e militari, benvenuti nella mia città per questa 36esima Assemblea Nazionale di Anci.
E’ per me, e per tutti gli aretini, un onore grandissimo e una altrettanto grande emozione avervi qui, in un momento storico molto particolare sia per l’Italia che per l’Europa, sia, mi verrebbe da dire, per il mondo. Un momento che certo interroga non senza qualche preoccupazione ognuno di noi, investendoci di particolari responsabilità proprio per il ruolo antico e nuovo dei Comuni che credo, insieme, dobbiamo rispettivamente consolidare e costruire.
Prima, tuttavia, di soffermarmi su qualche considerazione di natura strettamente politica mi preme, seppur brevemente, raccontarvi il luogo dove siamo e lo spirito che anima da secoli questa città. Una città di origini antiche e di grandi tradizioni, terra di geni e di una operosità di cui portiamo ancora oggi la memoria nel nostro carattere laborioso e fiero che incrocia perfettamente la forza della ragione con la pazienza delle mani. E’ questo che racconta la Minerva, dea dell’ingegno e della creatività, il cui culto identifica la civiltà etrusca di Arezzo. Da qui le caratteristiche più tipiche di quello spirito antico, da qui quella necessità di indipendenza e di autonomia che nei secoli ci ha visto ora vincitori ora sconfitti, ma fermi nella volontà di lasciare un segno nella storia, sia essa di questo territorio, sia essa una storia più grande.
Costanza e determinazione hanno quindi segnato le alterne vicende della città, senza mai metterne in pericolo, anzi valorizzando, il senso di identità e di indipendenza, spirito costitutivo di questa nostra comunità, che poi, in una declinazione quasi mazziniana, si è concretizzato in azione. Nasce da qui l’Arezzo forse più conosciuta, e cioè l’Arezzo dell’oro, della manifattura, del terziario, delle botteghe, delle fabbriche, di una campagna intelligente e determinata, e di quell’istituto bancario che oggi purtroppo non abbiamo più, fatto di piccoli risparmiatori diventati borghesia cosciente e laboriosa. Questo era il nostro mondo, fino a nemmeno 30 anni fa. Perché tra le tante difficoltà passate, e alcune comuni a tutto il sistema Italia, ve ne sono due molto recenti per noi – la crisi del settore orafo e la fine ingiusta di Banca Etruria – che ci hanno costretto, e dico anche utilmente in prospettiva, a doverci “reinventare”. Il passato che avevamo alle spalle andava reinterpretato, con la forza dell’innovazione e con la fantasia concreta che un’assenza traumatica e improvvisa ha reso necessario elaborare. Ecco che Arezzo oggi è ancora “città dell’oro” grazie ai nostri imprenditori, alla loro tenacia, alla loro intraprendenza, alla loro attitudine all’innovazione, al loro senso economico, alla loro capacità di sfidare la crisi con la forza di cambiare per non rinunciare a mantenere ancora un primato, in un percorso faticoso che certamente ci ha cambiati, ma che altrettanto certamente oggi ci restituisce più forti di prima.
Ma Arezzo non è più solo la “città dell’oro”. Oggi è la città dei servizi, è la città della cultura, è la città del turismo e della Giostra del Saracino, è la città di un sistema di protezione e coesione sociale che sta cercando di tenere insieme l’identità passata con la costruzione di una identità nuova, o meglio “scoperta”, che avevamo nel nostro dna, ma che non avevamo avuto occasione, o forza, o, forse, interesse a declinare. Negli ultimi anni abbiamo rilanciato l’idea di una Arezzo come città della cultura riattingendo ad una secolare e definitiva presenza, quella di Guido di Arezzo, il monaco il cui ingegno e studio permisero di codificare il linguaggio universale della musica, trasformando in maniera definitiva il modo di insegnare, comporre, e tramandare la melodia. Tanto da proporci oggi come ‘città della musica’.
Ma non solo. La cultura per noi si è tradotta nella riattualizzazione di luoghi simbolo, quali il Palazzo di Fraternita, la più antica e millenaria istituzione di questa città che ha tenuto insieme nei secoli la vocazione culturale con quella della coesione sociale, e che in questi anni, proprio in questo singolare e ineludibile connubio, abbiamo riposizionato agli occhi degli aretini e della città. O la Fortezza medicea, sede privilegiata, e oserei dire “naturale” per la scultura, di mostre straordinarie come quelle di Ivan Theimer, di Ugo Riva, di Mimmo Paladino. Quest’ultima così salutata dal Generale Nistri, Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, nel suo messaggio introduttivo al calendario dell’Arma per l’anno 2020: “E’ il solco di Piero della Francesca, alla cui produzione egli (Paladino) si richiama esplicitamente, al punto che mentre scriviamo, nella splendida Arezzo che custodisce il ciclo della Vera Croce, è in corso la mostra “La regola di Piero”, omaggio di Paladino al grande pittore umanista rinascimentale”. Mostre dicevamo, che raccontano il lavoro delle mani e l’ispirazione del genio, tutte che legano l’artigiano e l’artista, interpretando in questo modo la città. E ancora, il Teatro Petrarca, oggi casa degli aretini, là dove la cultura di musica e di prosa si intervalla con uno spazio dedicato alle scuole, al volontariato, al terzo settore: in un’idea unica di valorizzazione delle arti in tutte le loro declinazioni.
Se oggi Arezzo è quella che è, è perché questa identità di mano e di mente ha ritrovato la forza di riscrivere pagine nuove, coerenti con quello che siamo sempre stati. E se voi, nell’intervallo di questi lavori, avrete tempo di percorrere il centro storico tra i vicoli e i borghi, tra piazze e palazzi, tra chiese e scorci suggestivi, potrete capire, o meglio respirare, la vocazione turistica di questo luogo, altra importante leva per la sua crescita e il suo sviluppo. Un turismo non di massa, ma di persone, un turismo consapevole e sostenibile, che intende non vendere la città ma regalarla a chi arriva, lasciando di sé negli occhi il risultato di secoli e secoli di storia, di arte, di ingegno, di lavoro.
Cultura e turismo come binomio per l’Arezzo di domani, e che già costruiamo oggi grazie ad uno strumento più efficace, quello rappresentato da due Fondazioni che ci consentono di tenere insieme pubblico e privato, realtà locali e realtà esterne, nella costruzione di una offerta che oggi è la promessa di uno sviluppo concreto ed estensibile. Se Arezzo “città dell’oro” è stato il nostro passato, ed è il nostro presente e sarà il nostro futuro, oggi possiamo aggiungere a questo brand quello di Arezzo “città della cultura”. Un percorso che non trascuri nemmeno il valore forte del rapporto tra comunità e idea di città, grazie ad un nuovo piano urbanistico che sta disegnando le linee guida della città di domani, dove al centro vi è la persona con la propria dignità, con i propri talenti, con la propria volontà di realizzare se stessa. Servizi, sviluppo, e sicurezza sociale sono poi le tre traiettorie che hanno tenuto insieme questa difficile traversata che ci ha visti impegnati negli ultimi anni, e che oggi con l’incremento significativo della presenza turistica di più del 63% in tre anni, ci conferma la correttezza del percorso intrapreso.
Ma, ed ecco la ragione del perché ho fortemente voluto che questa Assemblea si svolgesse qui, Arezzo intende pensarsi come Municipio tra due patrie, quella italiana e quella europea. Due sentimenti forti, uno di patria originaria – l’Italia – e uno di orizzonte anche culturale – l’Europa -, che devono trovare nelle espressioni dei Comuni una nuova opportunità di aggregazione. L’Italia dei Municipi è l’Italia dei valori forti, della prossimità, della concretezza del fare, delle giuste rivendicazioni di coesione sociale, delle sfide sull’educazione e la formazione, delle scelte coraggiose in materia ambientale, non più rinviabili, e circa le quali si fa sempre più urgente l’assunzione di responsabilità. La sollecitazione forte da parte di coloro i quali sono il nostro futuro, i giovani, non consente più rifugi ideologici ma rende improrogabile la condivisione di scelte e programmi.
Si tratta, tutte queste citate, di scelte che necessitano di una politica che veda nei Sindaci, e negli amministratori locali, i protagonisti veri di un nuovo progetto per l’Italia. I Sindaci tutti, al di là della loro appartenenza politica, hanno sempre la vocazione ad anteporre alle logiche di parte gli interessi delle proprie comunità, non fosse altro perché, a differenza di altri livelli istituzionali, sono, siamo, mescolati in una prossimità fisica con i nostri cittadini, dei quali abbiamo consapevolezza delle aspettative e dei bisogni concreti. Lo sono anche i Sindaci delle grandi città, meno esposti ad una quotidianità fatta di persone, ma comunque pur sempre il primo, e spesso purtroppo ultimo, baluardo istituzionale e riferimento reale per ogni singolo cittadino, dal più abbiente al meno fortunato. O la politica recupererà lo spirito dei Sindaci, o tanta fatica farà a riacquistare quella fiducia e quella credibilità di cui abbiamo bisogno in un tempo così complesso e difficile.
Chiudo con il desiderio e con l’auspicio che da Arezzo emerga forte l’orgoglio dei Sindaci d’Italia, che da qui invitino la politica tutta ad imparare da ognuno di loro, da ognuno di noi, quel senso di responsabilità e umiltà, di presenza e di coraggio, di concretezza delle cose fatte, di coscienza di chi sa di dover rispondere non ad una astratta collettività ma ad una concreta comunità fatta di singole persone. Nessuno meglio di noi, come ebbe a scrivere Amintore Fanfani, figlio di questa terra, a Giorgio La Pira, sa che “non si è Sindaci soltanto nei giorni belli” e che lo spirito, la forza, la pazienza, la determinazione a fare, e soprattutto la tenuta di un progetto di comunità, non verrà mai meno. E’ questo il senso dell’essere Sindaco, che credo tutti noi, che abbiamo il grande onore e privilegio di portare la Fascia Tricolore, vorremmo diventasse il modo di fare politica. Ovunque. Ascoltando, decidendo, migliorando”.

Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, nel suo intervento ha sottolineato: “il ruolo di un Presidente di Regione è diverso da quello dei sindaci. Tra i diversi livelli istituzionali deve instaurarsi un rapporto fatto di dialogo e dialettica nel rispetto delle rispettive funzioni. Un Presidente di Regione non è un governatore, né il sindaco di un macroterritorio. Il Comune ha la responsabilità di rispondere in prima istanza al cittadino, essendo l’ente ad esso più prossimo. La Regione è chiamata invece a svolgere un ruolo di programmazione e raccordo e ad esercitare la funzione legislativa.
Le Regioni devono inoltre assumere oggi un ruolo più rilevante, anche per il trasferimento di alcune delle competenze che erano proprie delle Provincie, che vanno ad aggiungersi a quelle previste dall’ordinamento in base all’articolo 117 della Costituzione.
Tra le competenze regionali vorrei ricordarne alcune che presentano un particolare valore strategico. In primo luogo, di fronte alle ricorrenti emergenze climatiche e ambientali, non si può non menzionare la difesa del suolo e del territorio, la responsabilità dei consorzi di bonifica e del genio civile. In questo ambito è cruciale adottare un approccio non solo reattivo, dispiegando un’azione di manutenzione e di prevenzione di lungo periodo, in grado di mitigare i rischi in maniera strutturale. Un’ottica di programmazione è cruciale anche in un settore fondamentale – tra i più rilevanti di cui l’ente regionale deve farsi carico – come quello della tutela della salute, dell’organizzazione e della gestione del sistema sanitario. Non si possono poi trascurare le funzioni relative al lavoro e alla formazione, che intervengono su un ambito decisivo per il futuro dei nostri territori. Venendo allo sviluppo economico, particolarmente importante è anche l’attrazione e la pianificazione dell’impiego dei fondi europei che, se bene utilizzati, possono avere un ruolo fondamentale nel promuovere gli investimenti e nel favorire lo sviluppo.
La posizione istituzionale della Regione le assegna il compito di mettere in relazione Comuni e Stato centrale, contemperando autonomia e cooperazione. È importante sottolineare tanto la necessaria collaborazione quanto la distinzione delle responsabilità. Solo evitando sovrapposizioni tra istituzioni con ruoli distinti è possibile dare risposte efficaci e di lungo periodo ai bisogni dei cittadini e alle grandi questioni che coinvolgono un territorio. In ambito urbanistico, ad esempio, il rapporto dialettico tra Regione e Comuni è fondamentale e, se ben declinato, può portare a lungo termine ad un buon governo del territorio, come ha mostrato, in Toscana, l’esperienza della legge sul paesaggio.
Siamo da tempo in una fase di profonda ridefinizione della struttura istituzionale del nostro Paese. Occorre una riflessione approfondita per uscire dal guado e approdare ad un assetto che ci permetta di affrontare con efficacia i gravi problemi che il nostro Paese ha di fronte. È in questo quadro che dobbiamo affrontare anche il dibattito sull’autonomia differenziata. Il ripensamento della struttura dello Stato deve ispirarsi a principi consolidati, come quelli di sussidiarietà e di autonomia degli enti locali, e all’idea di un regionalismo che non vada a intaccare la coesione, la solidarietà sociale e l’unità complessiva dello Stato.
Inizialmente il dibattito ha teso ad enfatizzare il protagonismo di determinati territori, spesso a scapito del resto del Paese. Abbiamo invece ora l’opportunità di reimpostare questa discussione nel quadro di una visione più generale e complessiva di riordino delle competenze e degli assetti istituzionali. A questo proposito condivido pienamente la proposta, avanzata dal Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, di una legge quadro nella quale definire la cornice generale di questo processo. All’idea di un federalismo per abbandono occorre contrapporre quella di un federalismo cooperativo, rifuggendo dalle opposte tentazioni di un neocentralismo e di nuove forme di campanilismo.
Non dobbiamo limitarci a interventi puntuali, magari ispirati al mero proposito di contenimento dei costi, ma recuperare una visione e un pensiero generale che ispiri la riorganizzazione dello Stato. Ne abbiamo oggi quantomai bisogno.
Il cambiamento climatico, la trasformazione del nostro sistema produttivo, i mutamenti demografici e sociali ci pongono sfide ardue e complesse. Al nostro sistema istituzionale spetta ora il compito e il dovere di esserne all’altezza”.