Home In Evidenza L.A. Woman dei Doors

L.A. Woman dei Doors

0
L.A. Woman dei Doors

LA MUSICA CHE GIRA INTORNO

Paesaggi Musicali Settimanali a cura di Roberto Fiorini

 

[wpvideo sIGsDoDh]

Ci sono dischi che sembrano essere destinati a divenire gli ultimi della discografia di una band, quasi come se gli autori di quelle canzoni, più o meno inconsciamente, si rendessero conto che dopo quelle registrazioni non suoneranno mai più insieme.

L.A. Woman dei Doors potrebbe essere uno di questi e la sua travagliata genesi ne è una chiara testimonianza.

Spesso gli album hanno la capacità di raccontare il clima interno in una band nel momento delle registrazioni.

Quasi come fossero specchi fedeli del lato oscuro di ogni gruppo, riescono a mostrare gli stati d’animo dei vari membri o semplicemente lo stato di salute della band stessa.

Gli album dei Doors, in questo senso, sono esemplificativi.

I primi due raccontano l’entusiasmo, la spinta rivoluzionaria e le visioni di un gruppo di studenti che rappresenta il lato meno pubblicizzato della fine degli anni sessanta, quello più distante dalle logiche del peace and love.

Waiting For The Sun mostra i primi dissidi che portano la band sull’orlo dello scioglimento.

The Soft Parade nella sua inutile pomposità consegna ai fan un gruppo distrutto.

Come spesso accade, però, la mancanza di ispirazione e i problemi interni conducono una band verso le proprie origini musicali, quasi a ricercare quel fuoco che caratterizza gli inizi di qualsiasi progetto.

Operazione questa che può rischiare di portare a risultati non sempre caratterizzati da spontaneità, con il rischio di risultare esercizi di stile fini a se stessi.

The Doors

L.A. Woman riesce a riaprire le porte della percezione.

E come questo sia stato possibile ha ancora dell’incredibile.

Siamo nel novembre del 1970, studi Sunset Sound al 6650 di Sunset Boulevard, quelli dei primi due album della band.

Morrison, Krieger, Densmore e Manzarek sembrano totalmente incapaci di trovare la benché minima concentrazione e il materiale cui stanno lavorando insieme a Bruce Botnick e Paul Rothchild appare non convincere.

Manca l’ispirazione.

Latin America, brano registrato per Zabriskie Point il film di Michelangelo Antonioni viene rifiutato dal regista italiano.

Non c’è una direzione musicale, tutto suona inascoltabile.

Era tremendo. Pura noia da una parete all’altra dello studio. Jim non c’era per niente. Aveva l’atteggiamento da bambino viziato e rovinava tutto apposta – ha ricordato in una intervista Rothchild – era tutto così noioso che per la prima volta nella mia carriera finivo addirittura con l’addormentarmi in studio”.

In realtà l’aspetto musicale finisce per diventare una sorta di pretesto per il produttore, che non ne può più di troppi aspetti legati al proprio lavoro ed in particolare a quelli con la band. 

Le continue bizze di Morrison, alle quali Rothchild deve porre freni di continuo, lo stanno portando sull’orlo dell’esaurimento nervoso.

Proprio dal loro storico ingegnere del suono viene l’idea di produrre insieme il successore di Morrison Hotel, senza l’aiuto di nessun altro e provando a ricreare l’atmosfera che ha portato alla creazione dei primi due dischi.

Paradossalmente, Rothchild, ancora una volta, rende possibile la nascita di un nuovo album dei Doors.

Decidono così di affittare lo studio mobile di Wally Heider e registrare nella loro sala prove, così da essere pienamente a proprio agio con l’ambiente e facilitare il clima creativo e di cooperazione tra i componenti del gruppo.

Un po’ come ai tempi dell’università.

Botnick è convinto che una semplificazione del modo di registrare è la scelta più giusta, dopo gli eccessi tecnologici degli ultimi anni.

Le maggiori preoccupazioni riguardano però sempre Morrison, ogni giorno più perso alla ricerca di qualcosa probabilmente impossibile da raggiungere.

1.jpgGli strascichi dello scandalo di Miami sono sempre più visibili sul corpo di Jim: da quella sera ha teatralmente messo fine all’immagine che gli è stata creata intorno, quella del sex simbol pericoloso e maledetto e la sua scalata verso il tracollo di quell’immagine l’ha condotto a raddoppiare il proprio peso, a farsi crescere nuovamente la barba e soprattutto, a passare gran parte della propria giornata a bere.

Una strada che pare ormai segnata.

La paura che attanaglia Manzarek, Krieger e Densmore è legata alla mancanza di quelle briglie che il vecchio produttore teneva costantemente nelle proprie mani e senza le quali, probabilmente, la band si sarebbe fermata ai tempi di Waiting For The Sun.

Botnick fa portare tutta l’attrezzatura in Santa Monica Boulevard e la plancia di registrazione viene collocata sulla scrivania del loro manager, Bill Siddons, il cui ufficio diviene di fatto la sala regia.

L’unico inconveniente tecnico è che sala regia e sala di registrazione si trovavano su due piani differenti dell’edificio e restano in contatto solo tramite un interfono che le collega.

In fase di sovraincisione, i musicisti si trovano da soli in una stanza a parlare con i propri strumenti.

Prima di continuare nel racconto ascoltiamo il brano nella versione originale da oltre 64 milioni di visualizzazioni:

https://www.youtube.com/watch?v=JskztPPSJwY

La vera rivoluzione nel modo di impostare il lavoro attuata dal tecnico del suono è quella di lasciare che ogni membro della band, Jim compreso, si assuma molte più responsabilità che in passato.

Morrison non muta assolutamente il suo stile di vita, né tantomeno rallenta il numero delle sue sbronze, ma si cala perfettamente nella parte, diventando immediatamente più assennato e cooperativo.

Botnick non insiste mai nel far fare più di un paio di versioni di ogni brano alla band.

Inoltre non c’è bisogno di tirar fuori con la forza le parti vocali a Morrison, perché in pratica vengono incise tutte dal vivo nei bagni dell’ufficio, per sfruttarne l’eco.

Botnick suggerisce di registrare L.A. Woman sul vecchio otto piste utilizzato ai tempi di Strange Days.

Fu un disco molto viscerale – ricorda in una intervista – fu una loro scelta precisa farlo così essenziale”.

La scelta si rivela azzeccatissima.

The Doors

In effetti tutto questo processo di snellimento non solo giova alla qualità del brano e dell’intero album, ma permette alla band di registrare il tutto in pochissime settimane. 

In una delle sue ultime interviste, Morrison non nasconde l’entusiasmo ritrovato affermando “Il primo album lo abbiamo realizzato in circa dieci giorni e poi ogni disco successivo ha richiesto sempre più tempo fino all’ultimo, per il quale ci sono voluti nove mesi. Per questo disco, siamo entrati in studio e abbiamo fatto una canzone al giorno. È stato incredibile. Forse anche perché siamo tornati alla strumentazione originale”.

La serenità delle session porta a risultati sbalorditivi dal punto di vista creativo, tanto da far gridare al miracolo la maggior parte della stampa specializzata dei tempi.

Si tratta di un vero e proprio manifesto, un disco zeppo di visioni poetiche potentissime.

Amo il blues, è la musica che più mi piace e che preferisco cantare – ripete in continuazione Morrison – e il blues è la musica in grado di scavare più a fondo nell’anima, quella in grado di svegliare e portare alla luce tutti i demoni”.

Sembra davvero che con L.A. Woman, i Doors e Morrison in particolare vogliano omaggiare alcune delle loro maggiori fonti d’ispirazione.

Tutti quei cantanti blues di colore che ammirano.

L.A. Woman probabilmente non è altro che l’addio di Morrison alla propria città, poco prima di abbandonarla per traferirsi a Parigi.

Una città, Los Angeles, da sempre ambivalente per lui, così protettiva ma allo stesso tempo tempio di perdizione e fonte inesauribile di tentazioni cui non sa resistere.

La genialità di Morrison è quella di descrivere la città come se fosse una donna, grazie ad uno dei testi più ambigui ed affascinanti che ha mai scritto.

È una poesia che parla di una donna, ma anche di Los Angeles, una città che ha molte caratteristiche femminili. Ha delle qualità intuitive e femminili che mi hanno affascinato e poi conquistato” spiega Morrison in un’intervista, lasciando aperte le mille interpretazioni possibili per il brano.

Quello che affascina maggiormente è il continuo cambiamento di prospettiva del brano, permesso proprio dal doppio significato del titolo.

I Doors, hanno eseguito solo una volta dal vivo in concerto L.A. Woman , nel corso del loro penultimo concerto a Dallas.

The Doors