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FARE MUSEO quando i musei imparano dagli artisti

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FARE MUSEO quando i musei imparano dagli artisti

Abbiamo avuto molta paura nel nostro recente passato. Le cose sembravano non voler tornare alla normalità e a turno ci siamo fatti coraggio. Poi è successo: i casi di Covid sono calati.

Eppure, solo per alcuni c’è stato un vero effettivo ritorno. Altri invece hanno visto la propria vita totalmente cambiata e ad oggi, con paure e focolai rinnovati, non sanno che direzione darle. Quando sei un artista è possibile che certe cose spaventino meno. Se ci facciamo caso, in passato sono stati proprio gli artisti a sperimentare le situazioni più complesse quando non addirittura a crearle con le proprie mani.

Dopo il Covid invece, l’unica cosa che sappiamo è che alla normalità vera sono tornati in pochi. Più o meno 4 milioni di persone anche se ce ne sono ancora tante costrette a casa. Tra queste ultime ci sono le persone più creative. Lavoratori dello spettacolo, del teatro, dell’arte, della danza e dell’illustrazione che stanno vivendo un silenzioso soffocamento fatto di ambiguità, incognite e mancanza di futuro.

Se poi si dà un’occhiata alle istituzioni culturali vere e proprie e – dunque ai musei – vediamo che non basta ricominciare a camminare per recuperare la crescita di un paese. Festival e mostre se non chiuse, vengono realizzate con grande difficoltà, mentre molti musei di provincia languiscono. Ma questa situazione così critica dipende tutta dal Covid?

Difficile crederci veramente!
Il mondo della cultura e nello specifico quello museale già prima della pandemia si collocava in un triste scenario. Quel che oggi abbiamo in più sono i dati che contano un crollo verticale di presenze, pernottamenti, visite ai luoghi di cultura, con una perdita nel settore del 60% degli introiti rispetto al 2019. Anche il “bonus vacanze” appare come un modo per tentare di arginare un tracollo che era già evidente prima.

Chiaramente i musei sono strettamente interconnessi con la dimensione turistica, quindi appaiono i più colpiti e lo testimoniano molte statistiche. Quel che a turno abbiamo detto in molti però, è che gestire un museo non significa semplicemente tenere aperta la porta d’ingresso, così come non significa avere persone di guardiania, uscieri o personale al bookshop.

Non significa nemmeno dotarsi di servizi bar e ristoranti che, come si sperava qualche anno fa, forniscono risorse economiche nuove solo in scarsa misura. Gestire un museo significa effettuare un costante lavoro di definizione e ridefinizione delle collezioni, migliorare lo stile comunicativo, relazionarsi col territorio e con le istituzioni.

Oggi un museo d’arte contemporanea, con una creatività così diffusa e aperta alle più svariate creazioni immateriali (si pensi alla performance art, alle installazioni sonore e alle opere concettuali), potrebbe addirittura esistere anche senza alcuna collezione. Lo dico con una punta di provocazione, vista la situazione nella quale versano alcune istituzioni aretine, ma parlo della diversità di opere, spesso non costituite da pittura o scultura, ma da “situazioni” prive di materia.

Esempi di casa nostra
Facciamo il caso del Museo Medievale e Moderno di Arezzo da un lato e della Galleria Comunale dall’altro. Il primo è un museo istituito nel 1958 con opere provenienti dal collezionismo antiquariale ed erudito che trovarono asilo in un bellissimo palazzo rinascimentale, al fine di salvaguardare le espressioni di una cultura che non esisteva più. Con una collezione di scultura antica e medievale strepitosa che molte città invidierebbero se solo la si conoscesse di più.

L’altro non è nemmeno un museo, anche se nell’atto di nascita, nel 1962 lo si considerava come tale. La collezione non più visibile (e qui uso un eufemismo!) è oggetto di campagne di promozione e di continui tentativi di difesa caduti nel dimenticatoio. Proviamo a leggerle entrambe cercando di dare tutte le colpe al Covid e ci accorgeremo di quanto a volte le situazioni più drammatiche non hanno le motivazioni previste.

A livello europeo i dati raccolti sottolineano inoltre che, se quattro turisti su dieci scelgono la propria destinazione sulla base dell’offerta culturale, la diminuzione degli introiti dei musei rischia di essere a lungo termine. I due mesi di chiusura forzata hanno significato perdite ingenti con relativo licenziamento del personale mentre un buon 30% di musei europei ha dovuto interrompere i contratti con i lavoratori freelance, bloccando oltretutto molti programmi di volontariato.

I due musei che stiamo investigando non corrono alcun rischio: il Museo Medievale e Moderno è a ingresso gratuito e la Galleria ha un biglietto solo per alcune mostre. Il personale è la spina nel fianco di entrambi gli istituti. Per il Museo Medievale e Moderno l’assenza cronica di personale – peraltro non sostituibile né con freelance né con associazioni di volontariato – non ha nulla a che vedere con la pandemia. Le motivazioni sono varie ma le proteste dei cittadini sono state tutte accolte e condivise da un direttore che puntualmente in occasioni pubbliche e in privato dice di avere le mani legate e di sentirsi dire cose che lui stesso condivide.

Dall’altra parte con la Galleria Comunale, abbiamo un luogo facente funzione di sala espositiva perché sin dalla sua apertura ufficiale nell’anno domini 2000 ha rinunciato al suo compito di museo.

Musei da fare
Il Covid ha soltanto messo in risalto la marginalità delle nostre istituzioni culturali. Dunque siamo in molti a credere che entrambi i musei siano da “fare” nel senso che – insieme con tutti gli altri del territorio italiano – dovranno tornare ad insegnarci a mettere a fuoco la centralità della cultura non solo nell’economia, ma anche nella vita sociale e nella salute delle comunità. Entrambi dovranno “strutturarsi” mentalmente come presidi territoriali; come luoghi cioè dove si realizza il confronto sulle problematiche del passato e del presente che interferiscono ancora nella nostra contemporaneità. E dovranno farlo con lo spirito, il coraggio e la creatività di tutti quegli artisti attualmente impegnati a reinventare la propria vita.

di Matilde Puleo