Home Arezzo La povertà non è una colpa o un accidente. Le domande rivolte al Comune di Arezzo

La povertà non è una colpa o un accidente. Le domande rivolte al Comune di Arezzo

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La povertà non è una colpa o un accidente. Le domande rivolte al Comune di Arezzo

Come ogni anno la Caritas diocesana ha presentato il rapporto sulla attività dei suoi servizi in favore delle persone in situazione di bisogno. È uno dei pochi documenti, forse l’unico, che tenta di descrivere l’esistenza, la dimensione e le caratteristiche ad Arezzo del disagio sociale e della povertà. Per questo è un documento utile per qualche considerazione.

I dati mostrano in modo inequivocabile ciò che già si intuiva: ad Arezzo, come accade nel resto del Paese, si registra un forte aumento della popolazione che si trova in condizioni di grave difficoltà economica e sociale, che vive in una situazione di profonda disuguaglianza e anche di esclusione. Dati e grafici mostrano tre fattori che più di altri causano queste situazioni e sui quali dobbiamo riflettere: il lavoro, il mantenimento della famiglia e l’emarginazione degli stranieri.

Infatti, la grande maggioranza delle persone registrate sono disoccupate o con lavori precari; le difficoltà delle famiglie, in cui sono presenti anche molti minori, sono spesso legate ai costi per la casa; gli stranieri sono i più colpiti essendo il 63% del totale di coloro che si sono rivolti alla Caritas.

Tutto ciò continuiamo a chiamarlo “povertà”, ma forse dovremmo cominciare a modificare anche il linguaggio perché la povertà, e soprattutto questo tipo di povertà, non è un frutto endemico e inevitabile della società: dovremmo chiamarla ingiustizia e sfruttamento.

È certo che la pandemia ha aggravato le condizioni di tante persone, ma questa povertà è un fatto “strutturale”, come riconosce anche il Rapporto, e la cosiddetta “ripresa”, di cui tanto si parla, mantiene vive, per quel che è dato vedere, le condizioni che la generano: lavoro al nero, precario e sottopagato, alti costi delle abitazioni (affitti e utenze), debolezza dei servizi di supporto e assistenza.

Grande merito dobbiamo riconoscere al volontariato che riesce a mitigare gli effetti più negativi di questa situazione, ma non possiamo fermarci a questa constatazione. La capacità del volontariato non può diventare la giustificazione né dei Governi, né tantomeno delle Amministrazioni locali, per ritardare interventi forti delle istituzioni. A questa povertà strutturale bisogna porre rimedio con politiche sociali adeguate, strumenti che agiscano sulle cause, servizi locali efficaci.

Da questo punto di vista qual è la situazione?

A livello nazionale, non buona; l’unico strumento che negli ultimi anni è stato adottato per intervenire seriamente sul problema e che, seppur parzialmente, ha almeno alleviato molte condizioni di povertà, il reddito di cittadinanza, sta per essere ridimensionato, senza alternative.

A livello locale la risposta dovrebbe venire dal Comune di Arezzo: quali strategie e politiche sta mettendo in atto per fronteggiare questa povertà crescente? In questo periodo i comuni hanno ricevuto da Ministero e Regione consistenti fondi che, come quelli del PNRR, non possono essere gestiti da una fondazione ma dalle amministrazioni comunali. Perché ad oggi non esiste né un ufficio di programmazione e progettazione in ambito sociale in grado di co-progettare con il terzo settore servizi finanziati dai suddetti fondi, né un regolamento per la co-programmazione e la co-progettazione?

Al di là delle elargizioni monetarie (sussidi, contributi) utili per tamponare le situazioni, quali sono i servizi e come sono stati potenziati per far emergere da sole le famiglie da situazioni di disagio e povertà? Quanti sono gli utenti e gli operatori che li seguono?

A che punto è l’integrazione con le politiche del lavoro, che tra l’altro è un livello essenziale delle prestazioni da garantire ai cittadini?

Ad oggi appare chiaro che manca una regia politica in grado di promuovere quell’integrazione fra vari ambiti (sociale, lavorativo, abitativo e non ultimo sanitario) indispensabile per garantire la coesione sociale, senza la quale la ripresa economica manterrà tutte le disuguaglianze in atto.