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Stellantis, è tutto oro quel che luccica?

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Stellantis, è tutto oro quel che luccica?

Il 16 gennaio 2021 è sorto ufficialmente il nuovo gruppo automobilistico denominato STELLANTIS che è nato dalla fusione del gruppo italo/americano FCA e il gruppo francese PSA diventando il quarto gruppo mondiale dell’automobile.

Ma andiamo con ordine. Bisogna risalire all’anno 2004 quando dopo la morte di Gianni e Umberto Agnelli fu chiamato alla guida della FIAT  Sergio Marchionne. Sotto la sua guida la FIAT, dopo anni difficilissimi e quasi sull’orlo del fallimento, cominciò un lento risanamento dell’azienda che portò nel 2009 all’acquisizione, con l’appoggio del Governo Americano e dopo una dura trattativa con i sindacati americani, dello storico marchio Chrysler.

Nasceva così il gruppo FCA Fiat Chrysler Automobiles. La piccola FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino) fondata a Torino da Giovanni Agnelli nel 1899 e che da sempre era molto forte in patria ma molto debole fuori dai confini nazionali acquisì la grande società Americana, uno dei tre grandi competitor americani dell’auto: General Motors, Ford e appunto Chrysler.

Marchionne aveva visto la necessità per il gruppo automobilistico italiano di crescere di dimensioni e fatturato per poter competere ad armi pari con gli altri produttori mondiali di automobili. Si era reso conto che a causa degli enormi investimenti futuri che ci sarebbero stati nel settore auto (tecnologie ibride ed elettriche da affiancare ai motori termici) solamente cinque o sei grandi costruttori avrebbero potuto competere sul mercato globale e di conseguenza i costruttori medio/piccoli sarebbero stati costretti ad aggregarsi tra di loro operando delle sinergie per la riduzione di costi.

Tentò, pertanto, un accordo con la Renault non andato a buon fine per l’intervento del Governo Francese. Alla morte di Marchionne il nuovo CEO l’inglese Michael Manley prese contatti con il gruppo PSA (marchi Peugeot, Citroen, Opel e DS) e, dopo un anno di trattative, si giunse finalmente ad un accordo.

Ma è tutto oro quel che luccica?

I media, soprattutto italiani, hanno magnificato l’avvenimento. Sui giornali sono state elencate trionfalmente le cifre della nuova società che si possono riassumere in 8,7 milioni di veicoli prodotti, quarto produttore mondiale, 400.000 dipendenti, quotazione di Borsa del gruppo di 40 miliardi di €.

Nei comunicati l’accordo è stato sbandierato come una fusione alla pari, ma così non è. Il CEO è francese, i francesi sono maggioritari nel consiglio di amministrazione ed inoltre nel capitale sociale è presente lo Stato francese, a tutela degli interessi nazionali, mentre non c’è una presenza pubblica italiana.

La capitalizzazione del gruppo intorno ai 40 miliardi di €, è sì consistente ma pur sempre quindici volte inferiore per esempio dell’americana TESLA che produce 500.000 vetture l’anno tutte elettriche. Il nuovo gruppo italo/francese in questo particolare segmento è relativamente debole. In Europa nell’anno 2020 in cima alle vendite di questa tipologia ci sono Volkswagen, Renault e Tesla.

Stellantis, inoltre, è poco presente nel settore del lusso. I marchi Maserati, Alfa Romeo, DS hanno vendite limitate e sarebbero necessari forti investimenti per penetrare più seriamente in un comparto dominato dai tedeschi, dove hanno qualche posizione di rilievo anche giapponesi e svedesi/cinesi.

 

C’è infine il problema del numero dei dipendenti. I due gruppi insieme impiegano circa 400.000 persone per produrre circa 8,7 milioni di vetture l’anno. GM per produrre più o meno lo stesso numero di vetture ne impiega la metà. Non è difficile immaginare che la nuova società nei prossimi anni per ridurre i costi cercherà di imporre un consistente numero di tagli che creerà non pochi problemi ai lavoratori.

 

Come si può notare, quindi, i problemi che deve affrontare il nuovo gruppo sono molteplici ed i risultati non si potranno vedere che nei prossimi anni, sperando che il management operi scelte intelligenti per restare “sul pezzo” di un mondo dell’ automotive sempre più in evoluzione.

 

 

 

Articolo da Mauro Marino

esperto in economia