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Baby gang, CSI Arezzo: “Chiamare tanta violenza disagio giovanile è svilente”

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Baby gang, CSI Arezzo: “Chiamare tanta violenza disagio giovanile è svilente”
Giulia Innocentini - Vicepresidente CSI Arezzo
«Rimango sbigottita di fronte ai fatti di “famiglia Montana”. E rimango ancora più perplessa se mi trovo a pensare che tanta violenza è sintetizzata in “disagio giovanile”. Chiamare “disagio giovanile” una serie sistematica e organizzata di atti violenti è svilente nei confronti delle vittime e di tutta la nostra società. Voler in qualche modo giustificare il crimine organizzato non rende chi lo fa più umano o più democratico, bensì omertoso.

Non si possono difendere i carnefici se si vuole costruire una società civile, in quanto gli stessi non agiscono per rispondere ad un disagio, bensì per cavalcarlo e agire al di sopra di ogni regola. Non bisogna aver paura di chiamare le cose col loro nome e “criminali” è l’unica parola che descrive gli atteggiamenti dei membri di tutte le forme di criminalità organizzata, babygang incluse.

Leggo di una caccia spietata alla responsabilità del fenomeno delle babygang. La responsabilità di un atto criminale non è di nessuno se non di chi lo compie. Vedete, negli anni ho avuto modo di affacciarmi sullo spaccato di vita di moltissimi ragazzi, nelle più svariate condizioni familiari, economiche e dalle estrazioni sociali più differenti.
E mi sono resa conto che per quanto riguarda l’educazione dei ragazzi, la fonte primaria è l’educazione ricevuta nell’ambiente familiare o comunque nello spazio quotidiano di convivenza con i propri tutori. I ragazzi che hanno un problema ad inserirsi nella società o a scoprire la propria personalità, non sviluppano la loro ribellione alla società civile per fare contro alle istituzioni. Sviluppano la loro ribellione perché mancano di un esempio vicino che instauri con loro un rapporto di mutua fiducia e di pensiero critico verso gli istinti, le sensazioni e le azioni. Mancano modelli che insegnino loro a pensare ai gesti secondo un ordine di causa-effetto.
Giustificare la violenza in nome di una fantomatica – e a mio parere inesistente – assenza istituzionale, non rende giustizia nemmeno a tanti di quei giovani che sono consapevoli dei problemi del nostro Paese e delle difficoltà che devono superare per farsi strada in modo onesto, dignitoso, spesso sacrificando la propria spensieratezza per poter studiare e lavorare. Ribadiamo poi, che ad ogni azione corrisponde una reazione. Il valore fondamentale della nostra democrazia deve essere l’educazione e, qualora necessario, la rieducazione. Pertanto chi non rispetta la libertà altrui di vivere serenamente -la giovinezza in questo caso – merita almeno l’occasione di ricominciare con un percorso che sia in grado di dare gli strumenti per non poter più nemmeno concepire idealmente un atto tanto vile. E chi subisce violenze, merita di vedere rispettati i propri diritti e il proprio dolore, con l’unico mezzo al mondo che ha un valore: fatti, non parole.
Quindi, per favore, guardiamo le vere vittime del disagio giovanile, che si fanno in quattro per barcamenarsi tra le difficoltà e il futuro senza per questo far del male al prossimo in maniera sfrontata. E poi ancora, smettiamola di puntare il dito verso gli altri ed assumiamoci le nostre responsabilità individuali di genitori, educatori e tutori.
C’è un’Italia, un’Arezzo fatta di valori, di giovani desiderosi di costruire il futuro cooperando con le istituzioni perché ne vedono i pregi, l’impegno e il potenziale. È fatta di giovani volenterosi, giovani impegnati per il rispetto dei diritti di ognuno.
È fatta di giovani che sono stanchi di essere accostati a criminali loro coetanei. Per questo date voce alle vittime, date spazio anche ai rispettosi, date meritocrazia di nuovo a questa società. Date un futuro anche a voi stessi».