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La Stampa, anatomia di un articolo fallace contro Orsini

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La Stampa, anatomia di un articolo fallace contro Orsini

di Andrea Giustini

«Questa nostra ricostruzione non fa cenno alle posizioni prese dal professor Orsini sull’Ucraina. E’ cosa voluta, perché non si intende in alcun modo mettere in discussione la legittimità delle sue opinioni di non esperto in materia». Così Claudio Gatti conclude su la Stampa il suo pezzo di “anatomia curricolare” sul prof. Orsini. Con un tono a mezzo fra l’ironico e il denigratorio, il giornalista dà a intendere di aver posto la pietra tombale sul professore. In realtà fornisce l’occasione di imparare a riconoscere ragionamenti o discorsi fallaci. Perché l’articolo di Gatti, che la citazione riassume in tutta la disonestà intellettuale, altro non è che una grande fallacia, cioè un “ragionamento” sul professor Orsini in apparenza plausibile ma in realtà sbagliato.

Il ragionamento dell’articolo è più o meno questo: Orsini è un “non esperto” perché non ha “titoli”, quindi non può parlare della guerra in Ucraina. Si basa su due fallacie: l’argomento ad hominem e quello ad verecundiam. Brevemente l’argomento ad hominem, a volte chiamato “attacco”, è quel discorso che invece che affrontare nel merito una certa tesi attacca personalmente chi la sostiene per una sua qualche caratteristica, che nulla ha a che fare con la questione in oggetto. Dell’uso di questa fallacia abbiamo una sorta di confessione direttamente dall’autore, che a fine articolo ammette di aver di proposito evitato le tesi di Orsini. Quel che fa Gatti infatti è spendere ben 2000 parole non per parlare nel merito di guerra in Ucraina, ma per attaccare la persona del professore. Gatti sottolinea ad esempio:

  • di non aver trovato lavori del Centro per lo Studio del Terrorismo dell’Università di Roma Tor Vergata sotto la direzione di Orsini;
  • che lo storico Casamassima ha criticato di a-storicismo il libro “Anatomia delle Brigate Rosse” di Orsini;
  • che il prof. Raffaele De Mucci ha descritto quello di Orsini come “improbabile approccio metodologico”.

Dettagli sulla carriera o affermazioni sul metodo di Orsini sono questioni a parte, irrilevanti se il focus è il conflitto in Ucraina. Sono poi parziali e discutibili: l’opinione di un collega sul metodo del professore o su di un suo libro, ad esempio, non è “la verità”. Ciascuno di questi dettagli però ne scredita l’immagine agli occhi di chi legge, e induce così fallacemente a concludere che le tesi di Orsini siano sbagliate, pur non essendo trattate, o che addirittura non possa parlare del conflitto in atto.

La fallacia ad verecundiam invece si serve del principio di autorità per giungere a conclusione su qualcosa. Gatti parla di “titoli” come di patenti intellettuali e sfrutta quindi il fatto che Orsini non ne abbia uno specifico per concludere fallacemente che allora non sia “un esperto”. Con questa premessa già sbagliata giunge a una conclusione ancora peggiore, cioè che quindi il professore non possa parlare di guerra in Ucraina. Solo gli “esperti” avrebbero l’autorità di farlo, stando a questa “logica”. La prima cosa da dire è che non si capisce nemmeno quale titolo bisognerebbe avere secondo Gatti, perché la somma materia che dà “diritto di parola” non viene mai citata. Nel pezzo anche il prof. Francesco Ramella dice di non conoscere pubblicazioni di Orsini “sulla materia in cui si cimenta in Tv”, ma non specifica che materia. Geopolitica? Strategia militare?

Ad ogni modo il possesso di un titolo è un aspetto formale, non sostanziale: non qualifica in automatico come “esperto”. Inoltre anche se si è esperti non significa che tutto ciò che si dica su una questione sia vero né che quello che dicono gli altri, presunti non esperti, sia falso. Tutto dipende dal contenuto delle affermazioni specifiche. Anche chi non ha un titolo può essere esperto e avere ragione. Soprattutto ha facoltà e diritto di esprimere ciò che pensa. Saranno poi i fatti a stabilire se sia giusto o sbagliato, non a priori il possesso di “un titolo”. Vediamo la fallacia ad verecundiam, in forma di ipse dixit implicito, anche quando Gatti riporta i pareri negativi sull’operato di Orsini. Quando ad esempio scrive della critica ad “Anatomia delle Brigate Rosse”, Gatti presenta Casamassima come “esperto”. Anche quando scrive che il metodo “Dria” di Orsini sarebbe sbagliato, ci presenta chi lo sostiene, Brian Sandberg, come “esperto”. In questo modo dà fallacemente a intendere al lettore che tali giudizi corrispondano a “verità”: perché lo dicono degli “esperti”.

Forse ciò che ha spinto Gatti e la Stampa a pubblicare un articolo simile è la preoccupazione per il diffondersi di disinformazione sulla guerra in Ucraina. Ma non è certo con attacchi ad hominem e appelli fallaci a presunti “esperti” unici detentori del diritto di parola che si ristabiliscono i fatti, o che si recupera un modo corretto e sano di fare informazione. Con questo “metodo” c’è il rischio di qualcosa di peggiore: lo spargersi di modi di ragionare sbagliati, intolleranti verso chi ha idee diverse e nocivi per i princìpi alle fondamenta della Repubblica. Ragionamenti che nonostante i riferimenti alla “scienza” nell’articolo di Gatti, sono tutto fuor che “scientifici” o obiettivi.