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Dov’è finita l’acqua del Po

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Dov’è finita l’acqua del Po

PARMA – I dati emersi a Parma nel workshop "Effetti dei cambiamenti climatici sul bacino del Po", non devono dar luogo a politiche di emergenza, ma a una pianificazione a scala di bacino idrografico per ridurre la frammentarietà delle competenze e gestire in modo sostenibile e programmato la risorsa acqua.
La situazione è critica, secondo il WWF Italia, non tanto o non solo per la ‘siccità’ odierna o prevista, ma per la ormai cronica alterazione degli equilibri idrogeologici ed ambientali. Un aiuto però potrebbe venire dalla corretta applicazione della Direttiva quadro ‘Acqua’, per la quale l’Italia, purtroppo, ha in corso due procedimenti d’infrazione da parte della Commissione Europea.

Ma dov’è finita l’acqua del Po? Lo scorso anno il dossier del WWF il dossier ‘Bacino del Po. Quale siccità?’ confermava la riduzione delle portate del Po a causa di una diminuzione delle nevicate negli ultimi decenni che, con poche eccezioni, ha colpito l’intero settore meridionale delle Alpi, senza particolari distinzioni geografiche o altimetriche. Il valore di decremento medio delle precipitazioni nevose del 18,7 %, valido per le 35 stazioni, prese in considerazione dallo studio WWF, e confermato da ulteriori studi successivi di vari enti, si può ritenere valido per larga parte dei settori alpini meridionali posti tra i 1000 e i 2500 metri di quota. Più in specifico, l’analisi del WWF ha mostrato come le località di bassa quota abbiano subito i decrementi proporzionalmente più consistenti, con punte di contrazione vicine o superiori al 40%.

Ma limitarsi a questa lettura sarebbe fuorviante e certamente non risolutivo di una situazione di crisi cronica, che la variazione delle precipitazioni annuali ha semplicemente posto sotto i riflettori.
Dei cambiamenti climatici è indispensabile tener conto nelle politiche di medio e lungo periodo, di cui la pianificazione territoriale è parte integrante, ma è indispensabile evidenziare le cause delle crisi idriche italiane ‘eccezionalmente croniche’: l’aumento dei consumi d’acqua, gli sprechi e i molteplici usi, spesso conflittuali; all’assenza di una efficiente ed efficace gestione ordinaria dell’acqua, aggravata dalla mancanza di pianificazione a scala di bacino idrografico e alla progressiva delegittimazione delle Autorità di Bacino con ruoli e competenze sempre più ridotte; la diffusa vulnerabilità del territorio dovuta ai devastanti scempi che da anni interessano il nostro territorio come dimostra la continua, “tenace”, progressiva artificializzazione dei corsi d’acqua e impermeabilizzazione del suolo.

“Spesso sul Po, ma sui fiumi e corsi d’acqua in Italia, si hanno proposte surreali. Mentre le recenti crisi idriche (piene eccezionali del 1994,del 2000 e del 2002; siccità eccezionali del 2003, 2005. 2006) hanno evidenziato la necessità di avviare interventi per la riqualificazione ambientale, il più grande progetto che riguarda il Po è il rilancio della navigazione commerciale e il richiamo a progetti che ne stravolgerebbero ulteriormente gli assetti ecologici.” – dichiara Andrea Agapito, WWF Italia –“Un progetto anacronistico se pensiamo che le imbarcazioni attuali da 1350 t. (imbarcazioni di IV classe europea) necessitano di almeno 2.50 m di profondità, che deve essere mantenuta per almeno 300 giorni/anno di navigazione (è il dato che spesso è emerso per rendere economicamente sostenibile la navigazione fluviale sul Po). Purtroppo questo è solo un esempio emblematico dell’approccio italiano ai fiumi, dimenticandone la complessità ecosistemica e la necessità di salvaguardare la funzionalità ecologica che consente, inoltre, la riduzione del rischio idraulico, il miglioramento della qualità ambientale, la promozione di usi e attività sostenibili.”

Per uscire dall’emergenza e cambiare strutturalmente la situazione il WWF Italia indica 5 passi da fare al Ministro dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare:
1. applicare urgentemente e correttamente la Direttiva Quadro Acqua 2000/60/CE;
2. istituire una task-force formata da provati esperti con solida esperienza anche internazionale per dare un contribuire all’applicazione della direttiva e, soprattutto, a recuperare il tempo perduto;
3. promuovere il riordino delle competenze sulla risorsa idrica, attualmente distribuite tra decine di Istituzioni (tra i quali: Ministeri, Regioni, Autorità di bacino, Regioni, Province, Comuni), enti (Consorzi di regolazione dei laghi, Gestori invasi artificiali, Bacini imbriferi Montani, Consorzi di Bonifica ed irrigazione) uffici e assessorati;
4. rilanciare il ruolo centrale delle Autorità di bacino e/o distrettuali; In particolare per il Po, il grande malato, è indispensabile e urgente che l’Autorità di Bacino/Distretto possa redigere il piano di gestione di bacino idrografico, come previsto dalla Direttiva europea, per avviare le misure necessarie per la gestione del ciclo dell’acqua e avviare le ormai indispensabili politiche di adattamento ai cambiamenti climatici.
5. promuovere una strategia nazionale e internazionale di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici attraverso la cooperazione con le istituzione comunitarie e gli altri Stati Membri.