ROMA – “Ha ragione il ciclista Paolo Bettini: il prelievo del Dna per la verifica antidoping è una misura sproporzionata e in quanto tale inaccettabile”. Mauro Paissan, componente del Garante privacy, si schiera a fianco del campione del mondo del ciclismo professionistico contro la pretesa di alcune squadre ciclistiche di sottoporre gli atleti al test Dna per verificare l’uso di sostanze dopanti.
“Il prelievo di dati genetici per queste finalità non è giustificabile. Esistono infatti altri tipi di test, assai meno invasivi, che consentono di controllare la presenza di sostanze vietate. Il Dna, invece, è un dato sensibile, molto delicato, che nessun privato può pretendere. Attraverso di esso si può risalire a tratti ereditari che coinvolgono non solo il singolo soggetto ma anche la famiglia, le generazioni successive e precedenti. Il test può inoltre predire determinate patologie, che si ha il diritto di non far sapere a estranei. Non a caso le normative di molti paesi vietano l’utilizzo dei dati genetici da parte dei datori di lavoro e delle assicurazioni. Dalla conoscenza di queste informazioni possono infatti derivare inaccettabili discriminazioni”.
“Non si tratta – conclude Paissan – di contestare i sacrosanti controlli antidoping sugli sportivi. Ma l’utilizzo del Dna è sproporzionato. Sarebbe come voler ammazzare una zanzara con un bazooka”.