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E’ l’uomo la causa principale del riscaldamento del Pianeta

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E’ l’uomo la causa principale del riscaldamento del Pianeta

ROMA – “La responsabilità dell’uomo nell’alterazione degli equilibri climatici è fuori di dubbio. Non uscirà nessuna buona notizia dal quarto rapporto sul clima dell’Onu, secondo le anticipazioni, ma la conferma di questa certezza”. Così Roberto Della Seta, presidente di Legambiente, commenta l’apertura dei lavori parigini del gruppo di lavoro dell’IPCC (Intergovernmental panel on climate change), che si concluderanno venerdì con la presentazione del quarto rapporto sul clima, il documento di riferimento sul clima per i prossimi 5 anni.

“Il clima che cambia è una drammatica realtà, che già provoca danni alla salute, alla sicurezza, al benessere delle persone – commenta il presidente di Legambiente –. Sono le emissioni di anidride carbonica, la causa principale di questi sconvolgimenti e derivano in larga misura dalla combustione di petrolio e gas. Proprio questa responsabilità impone alla comunità internazionale un repentino cambio di rotta. Non si tratta di una minaccia per il futuro ma di un processo in corso”.

E non occorre spostarsi per forza nel continente africano, quello più martoriato dalla desertificazione e dalla siccità, per coglierne i segni. Anche l’Italia, che si trova ai margini meridionali della zona temperata, è uno dei più colpiti dalla rottura degli equilibri climatici, come evidenzia un report di Legambiente. Negli ultimi vent’anni le temperature medie in Italia sono cresciute di 0,4 °C al Nord e di 0,7 °C al Sud. Nell’estate del 2003, per la prima volta a memoria di statistiche meteorologiche, le temperature medie estive misurate nella stazione di Pisa hanno eguagliato o superato quelle delle stazioni collocate lungo la sponda sud del Mediterraneo. Arrivano malattie importate dall’Africa, animali e piante tropicali attaccano la nostra biodiversità, si intensificano alluvioni e siccità, compaiono le prime aree semi-desertiche. I dati raccolti da Legambiente evidenziano attualissimo impatto dei cambiamenti climatici sulla vita degli italiani. Eccoli nel dettaglio.

NUOVE MALATTIE

Il primo e più diretto danno sanitario prodotto dai mutamenti climatici è legato all’aumento della mortalità che si registra in occasione delle più acute ondate di calore. Nell’estate 2003, quando da luglio a settembre la temperatura ha superato di 4/5 gradi la media stagionale, in Italia si registrarono il 14,5% di decessi in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Nel 1970, l’Europa dunque anche l’Italia vennero dichiarate dall’Oms aree libere dalla malaria. Negli ultimi anni si è registrata una recrudescenza di casi autoctoni, per ora sporadici, concentrati in aree che fino a pochi decenni fa erano altamente malariche. Questo ha fatto ipotizzare che una stabilizzazione degli aumenti di temperatura potrebbe determinare anche nel nostro Paese una ripresa endemica della malaria.

Sta rapidamente crescendo il numero di casi italiani di leishmaniosi viscerale umana, infezione trasmessa da piccolissimi insetti che per effetto dei mutamenti climatici prolungano i periodi di attività e colonizzano territori finora immuni. Fino al 1990 si registravano meno di 50 casi all’anno, dal 2000 i casi annuali sono più di 150. La Campania è attualmente il principale “macrofocolaio” di tutto il Sud Europa.

In gran parte d’Europa e anche in Italia, si osserva un aumento dei casi di encefalite trasmessa da zecca, malattia che colpisce il sistema nervoso centrale e la cui incidenza è molto legata a fattori climatici. Fino al 1993 nel nostro Paese erano stati descritti solo 18 casi, dal 1994 a oggi ne sono stati registrati quasi un centinaio, concentrati soprattutto in Veneto (57 casi solo nella provincia di Belluno).

Anche nel campo delle patologie animali, i mutamenti climatici stanno importando in Italia malattie tipicamente africane: come la bluetonge, infezione virale che colpisce tutti i ruminanti, presente dal 2000 in Sardegna, nel Lazio, in Toscana, in Basilicata, in Sicilia, in Calabria.

ALLUVIONI E SICCITA'

Negli ultimi sessant’anni l’Italia è stata colpita da sei grandi alluvioni autunnali: ben 4 concentrate negli ultimi quindici anni (Liguria 1993, Piemonte 1994, Piemonte 2000, Lombardia 2002). Sei sono stati anche i periodi di grave siccità (meno di 360 mm di precipitazione media annua), quattro dei quali posteriori al 1990 (1993, 2000, 2001, 2003). L’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi – alluvioni e siccità – è proprio una delle principali conseguenze attese dai mutamenti climatici.

DESERTI

In Italia sta arrivando il deserto. Si stima che negli ultimi vent’anni siano triplicati i fenomeni di inaridimento del suolo, legati alla cementificazione e all’eccessivo sfruttamento agricolo del suolo, al dissesto idrogeologico ma anche ai cambiamenti del clima: oggi oltre 10 milioni di ettari, pari ad un terzo del territorio nazionale, sono a rischio desertificazione. Le regioni più colpite sono la Sardegna, la Sicilia e la Puglia, dove oltre l’80% del territorio è interessato dal problema, ma la desertificazione non risparmia nemmeno le regioni del centro-nord: in Emilia Romagna quasi 700 mila ettari sono in pericolo (31% del totale), in Piemonte 500 mila (19%).

SPECIE TROPICALI

Ormai il 20% delle specie di pesci presenti nel Mediterraneo è “importata”. Con il riscaldamento delle acque, sono arrivate diverse nuove specie dal Mar Rosso, come il Pesce flauto e il Siganus luridus. Altre specie immigrate sono i barracuda Sphyraena chrisotaenia e Sphyraena flavicauda, vari tipi di ricciola, il granchio Percnon gippesi. Un altro fenomeno in crescita è il rapido spostamento verso nord degli areali di diffusione di specie indigene: per esempio l’Aguglia imperiale è sconfinata dai suoi mari tradizionali (Ionio, basso e medio Tirreno) fino al Mar Ligure.

“Manca meno di un anno al fatidico inizio della fase attuativa di Kyoto (che prende il via il 1° gennaio del 2008) – conclude Roberto Della Seta – e l’Italia si trova a dover abbattere non più il 6,5 ma il 18,7 % dell’inquinamento prodotto nel 1990. Da quando il protocollo è stato firmato nel 1997, le emissioni prodotte in Italia, infatti, sono considerevolmente aumentate, giungendo oramai a un clamoroso più 12,2%. Il settore che in assoluto continua a incidere di più sull’inquinamento da gas serra è quello dell’uso di combustibili fossili per la produzione di energia, compresi i trasporti. Serve una decisa conversione a U. Serve promuovere l’efficienza energetica e spingere le energie pulite come il solare e l’eolico, insieme ad altre misure come il disincentivare il trasporto su gomma. Questa è la direzione giusta e su questa via bisogna accelerare, o i costi sanitari, sociali, ambientali per la collettività finiranno presto fuori controllo”.