AREZZO – Le bollette elettriche di artigiani e piccole imprese sono sempre più salate. A gonfiare i prezzi ci pensano fisco e oneri generali di sistema, che pesano per il 25,3% con una somma complessiva di 2.026 milioni di euro l’anno, corrispondente ad un costo medio per impresa di 432 euro l’anno.
Il dato emerge da un Rapporto realizzato da Confartigianato che ha stilato anche una classifica delle regioni nelle quali i piccoli imprenditori subiscono il maggiore prelievo per imposte sull’elettricità e per oneri generali di sistema. La distribuzione dei costi per regione dipende dalla diffusione di Pmi manifatturiere che utilizzano tecnologie produttive ad alto consumo di energia, come ad esempio nei settori della gomma, materie plastiche, prodotti chimici.
‘Per questo motivo, a livello di macro aree, il conto più salato lo pagano le Pmi del Nord Ovest, con il 36,6% del totale – spiega il Presidente della Federazione Impianti di Confartigianato Imprese Arezzo Giuseppe Nocentini – seguite da quelle del Nord Est con il 29,2%, del Centro con il 18,1% e infine del Mezzogiorno con il 16,2%. In particolare, sono tre le regioni che sopportano oltre la metà (50,9%) del costo totale. ‘Maglia nera’ è la Lombardia, dove le Pmi pagano in tasse ed oneri di sistema ben 529,1 milioni di euro l’anno (il 26,1% del totale), seguita dal Veneto con 287,5 milioni di euro l’anno (il 14,2% del totale), e dall'Emilia Romagna con 214,4 milioni di euro l’anno (il 10,6% del totale). In quarta posizione troviamo il Piemonte con 179,8 milioni euro. A breve distanza, la Toscana con 165,3 milioni di euro’.
E le regioni dove i costi medi per ciascuna impresa risultano superiori alla media nazionale sono le Marche con 672 euro, il Veneto con 669, la Lombardia con 611, seguite da Friuli-Venezia Giulia con 599, Emilia-Romagna con 527, Piemonte con 491 e Toscana con 467 euro.
‘I maggiori costi dell’energia elettrica sopportati dalle Pmi italiane – sottolinea Nocentini – dipendono, oltre che dai ritardi nella liberalizzazione del mercato, anche da un sistema di tassazione dell’energia sperequato tra piccole e grandi imprese. I piccoli imprenditori pagano infatti un’aliquota media di imposta sul kilovattora che è 11,5 volte superiore rispetto a quella pagata dalle grandi aziende. Come se non bastasse, nella bolletta dei piccoli imprenditori si scaricano anche gli oneri generali di sistema che comprendono alcuni ‘sconti’ e vantaggi accumulati dai grandi consumatori di energia. Una situazione insostenibile, una vera e propria emergenza sulla quale chiediamo l’intervento urgente del Governo e del Parlamento sia per realizzare davvero la liberalizzazione del mercato elettrico, sia per mettere fine agli attuali regimi di riserva e di sperequazione nell’applicazione delle accise e degli oneri generali di sistema sui consumi energetici’.
Dei 2.026 milioni di prelievo fiscale e di oneri di sistema, a pesare di più sulla bolletta elettrica delle Pmi sono i contributi per finanziare nuovi impianti da fonti rinnovabili ed assimilate (i cosiddetti contributi CIP 6) con una somma di 775 milioni di euro. Altri 739,9 milioni se ne vanno in accise. Un’altra voce onerosa, pari a 138 milioni di euro, riguarda gli stranded costs, cioè i ‘costi incagliati’ relativi ad investimenti effettuati dagli operatori ex monopolisti prima della liberalizzazione e che ora, in condizioni di libero mercato, non sono più ammortizzabili.
E ancora, incombono sui piccoli imprenditori la contribuzione per i regimi speciali (con un onere di 123 milioni), la perequazione di energia destinata al mercato vincolato (altri 77 milioni di euro) e i 62 milioni di euro per remunerare il servizio di interrompibilità dei grandi consumatori di energia.