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Politecnico Milano-Cineas, mercato in contrazione per 46% pmi

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Milano, 26 mar. (Labitalia) – Nonostante i dati macroeconomici parlino di una lenta uscita dalla recessione, per le pmi, che rappresentano gran parte del tessuto economico italiano, non è sempre così. Le imprese che percepiscono il mercato in contrazione sono il 46%, in aumento di quasi il 20% sul 2012. Ma è pur vero che il 54% risulta più ottimista. Sono i risultati dell’Osservatorio Politecnico di Milano-Cineas in collaborazione con Confapi Industria sul Risk Management nelle pmi italiane, realizzato da RiskGovernance del dipartimento di Ingegneria gestionale del Politecnico di Milano, giunto alla sua seconda edizione.
L’indagine ha preso in considerazione un campione di 701 aziende distribuite su tutto il territorio nazionale e appartenenti a tutti i settori dell’economia, con particolare concentrazione nei macro-settori servizi (36%) e manifattura (41%). In questo scenario, la leva più ricorrente di intervento per le piccole imprese è quella della sostituzione e del rafforzamento della struttura con nuove competenze manageriali.
Dai dati analizzati dall’Osservatorio emerge che il 90% delle imprese che percepiscono il mercato in contrazione decide di operare cambiamenti all’interno della struttura di vertice, mentre il 45% apre a nuovi mercati che abbiano una domanda in crescita o disponibilità di materie prime a costi inferiori, in diminuzione rispetto al 2012 dove questa scelta veniva fatta dal 59% delle aziende. E’ carente, invece, la disponibilità ad effettuare nuovi investimenti nel Paese. Ben il 63% del campione non adotta tecniche di gestione del rischio. Tra quelle che adottano tecniche di gestione del rischio, il 52% delle aziende valuta i rischi in maniera formale e secondo un processo strutturato, percentuale in aumento di circa il 10% rispetto al 2012.
“Negli ultimi 5 anni – afferma Marco Giorgino, direttore di RiskGovernance del Politecnico di Milano – le piccole e medie imprese italiane hanno risposto alla crisi con molte operazioni anche straordinarie, per la maggior parte entrando in nuovi mercati; ciò ne ha aumentato il profilo di rischio. Non sempre le dimensioni media e, soprattutto, piccola sono in grado di reagire a tale rischiosità e di raccogliere le nuove sfide competitive che i mercati pongono. In assenza di adeguati sistemi per la gestione dei rischi, il rischio effettivo è quello della stasi e, di conseguenza, in ultima analisi del peggioramento del panorama economico italiano. Dall’Osservatorio emergono però segnali positivi: la spesa per il risk management nelle pmi italiane è in aumento – continua Giorgino – sia in termini assoluti che percentuali, in modo più marcato per le medie imprese, passando dal 2012 al 2013 dallo 0,3% al 3,8% del fatturato per le aziende con più di 10 milioni di fatturato”.
Rispetto al 2012, la percezione del profilo di rischio è pressoché costante e di tipo ‘medio’, diminuiscono invece coloro che percepiscono il rischio come ‘altalenante’ (il rischio medio è quello attuale e quello altalenate è quello legato agli ultimi 5 anni). Da notare che per l’81% del campione all’apertura di nuovi canali di vendita e all’ampliamento del portafoglio prodotti corrisponde una diminuzione della percezione dell’esposizione al rischio.
Il contesto economico è aggravato dall’immaturità con cui le pmi affrontano il rischio, tanto più che la percezione del rischio è piuttosto elevata. Nel 2013 il rapporto con il rischio peggiora. Aumentano, infatti, le aziende che lo percepiscono come eventi da evitare (47% in crescita rispetto al 2012 dove erano solo il 31%). Inoltre, coloro che percepiscono il rischio solo come negativo e non anche come un’opportunità sono perlopiù piccole imprese (68% nel 2013, mentre erano il 48% nel 2012).
I rischi finanziari sono quelli che vengono maggiormente percepiti come rilevanti, si passa da un 48% a un 58% nel 2013 e sono perciò quelli che assorbono maggiori risorse. In particolare, si registra un vertiginoso aumento delle imprese che hanno una significativa esposizione al rischio di credito (dal 30% al 78% del campione dal 2012 al 2013) e al rischio di liquidità (dal 15% del campione nel 2012 al 42% nel 2013). Diminuisce drasticamente, invece, il rischio inflazionistico che scende dal 53% a un 2%. Meno rilevante nel 2013 è il rischio operativo, che interessa il 19% delle imprese, contro il 35% nel 2012.
“L’elevata percezione dei rischi finanziari da parte delle pmi è una diretta conseguenza della crisi economica”, commenta Adolfo Bertani, presidente di Cineas. “E’ fondamentale – avverte – una visione del rischio a 360 gradi affinché le pmi tornino a crescere. Spesso, infatti, è stata proprio la mancata percezione degli ‘altri rischi’ a determinare la chiusura di diverse realtà industriali. Basti pensare, ad esempio, alle concerie della valle del Chiampo (Vicenza), un distretto fortemente ridimensionato a causa delle conseguenze legali e di business legate alla mancata gestione del rischio ambientale a cui era esposto”.
Per quanto riguarda i ruoli e le responsabilità per la gestione del rischio, bassissima è l’incidenza delle imprese intervistate che dedica una risorsa a tempo pieno ad attività di risk management: nella grande maggioranza dei casi (90% per le piccole imprese italiane e 82% per le medie) il compito è assolto da una figura interna che ricopre altri ruoli come l’amministratore delegato (72%) o il direttore finanziario nel caso delle medie imprese (13% per tutte le imprese, in particolare nelle medie imprese la percentuale arriva ben al 36%).
La ricerca dedica un focus specifico alla Lombardia, dove il campione analizzato è composto da 319 aziende, con particolare concentrazione nei macro-settori servizi (32%) e manifattura (46%). Ne emerge che il 58% delle aziende lombarde, percentuale inferiore rispetto a quella nazionale (63%), non adotta tecniche di gestione del rischio. La metà delle aziende lombarde che adottano tecniche di risk management si è dotata di procedure formali per valutare i rischi cui sono esposte. Per quanto riguarda il contesto, le imprese lombarde hanno una percezione più ottimistica rispetto al resto d’Italia: in Lombardia le imprese che percepiscono il mercato come ‘stabile’ rappresentano il 40% del campione del totale, contro il 36% dell’intera popolazione delle aziende italiane. Inoltre, chi in Italia percepisce un mercato in contrazione decide quasi sempre di cambiare il top management (90%), mentre le aziende lombarde preferiscono ampliare il proprio portafoglio prodotti.
La percezione dell’esposizione al rischio, sia per le aziende lombarde (59%) sia per quelle italiane (46%), è aumentata nel corso degli ultimi anni. Inoltre, il 71% delle aziende lombarde ha un profilo attuale di rischio di tipo ‘medio’ e pochissime di esse (7%) ha un profilo di rischio ‘alto’. I rischi finanziari sono quelli che vengono maggiormente percepiti come rilevanti sia dalle aziende italiane (58%) sia da quelle lombarde (65%) e sono perciò quelli che assorbono maggiori risorse per la gestione, in termini economici e di personale.
“E’ in questo contesto che va giocato il nostro ruolo per fare cultura d’impresa. I dati ci confermano che chi si approccia alla gestione del rischio e ne sistematizza i processi, anche se in forma empirica, riesce a fronteggiare la situazione congiunturale e a valorizzare le peculiarità delle piccole imprese, facendone elementi vincenti”, afferma Stefano Valvason, direttore generale Confapi Industria. Per quanto riguarda i ruoli e le responsabilità per la gestione del rischio, bassissima è l’incidenza delle imprese intervistate che dedica una risorsa a tempo pieno ad attività di risk management: nella grande maggioranza dei casi il compito è assolto da una figura interna (il 96% per piccole aziende lombarde e l’86% per le medie) che ricopre altri ruoli come l’amministratore delegato (75% per le piccole e 50% per le medie) o il direttore finanziario nel caso delle medie imprese (35%).